giovedì 12 maggio 2011

You chose your journey





►Winter Lady, Leonard Cohen



Ti ho visto su un treno, stamattina, mentre camminavo verso casa.
Ti immaginavo sfogliare un libro di un secolo passato, che so, uno che racconta di storie perdute e di scommesse che sarebbe stato meglio non fare, di vestiti pacchiani e acconciature pompose. Uno di quelli scritti con lacrime e sangue, che la mattina dopo ti sembra di aver vissuto. Uno di quelli che racconta anche di te e che vorresti riscrivere, risolvere, concludere. 

Doveva avere un cappello, il protagonista, perché, proprio in quel momento, hai sfiorato i tuoi capelli come ad imitare il gesto del presentarsi.


- Piacere – avresti detto, sollevando il cappello. E avresti sorriso.

Ti ho visto seduto e con lo sguardo attento, a cercare, nel vuoto del sedile davanti, altre pagine da vivere. Nascoste nelle venature delle pupille di qualcuno. Da leggere. Ho sentito persino la tua voce. Ed avrei voluto dirti che non ho sentito mai due corde così dense. Uno strumento a fiato, affannato. Un suono che diventa visibile, che diventa corpo.

Ti immaginavo indossare dei jeans, una camicia e nessun profumo, a parte quello impresso a placcare la pelle. Ed avrei voluto incastrare i miei occhi ai tuoi, sedermi in quel posto vuoto, dirti che nelle pieghe del tempo, negli angoli stretti degli istanti, c’è abbastanza spazio per non avere fretta. E per godere di tutto. Anche quando tutto sembra niente.

Doveva essere sciocca, la protagonista, con i suoi modi da bambina e le sue assurde pretese. Che dagli occhi scendesse allo stomaco, quella sensazione di appartenenza che provava. Mischiare i gruppi sanguigni, come miscela di colori da gettare sui muri della tua stanza. E colorarli bene, senza lasciare traccia di bianco. Con una vernice indelebile a decorare pareti che, ora, scopro fatte di cartapesta.

Ti vedo scendere dal treno, proprio mentre scrivo.

Stazione raggiunta, binario lasciato, treno a ripartire dietro te. Doveva essere ubriaco l’autore del libro, quando ha scritto il finale. Non sa, non l’ha mai saputo, che l’ho riscritto, risolto, concluso in altro modo. 
Che sarò io a salire su quel treno, a riempire quello sguardo e quel sedile.
Anche ora.
Ora che, su quello stesso treno, i posti vuoti sono due.


–Avrò gli occhi bassi – ti avevo detto. Forse solo in un altro libro letto.

1 commento:

Tyog ha detto...

"Vedere con gli occhi d'un altro, penetrare nel dissidio mortale che si genera dentro la sua voglia di contatto umano: ecco l'altra faccia che assume quest'allucinazione collettiva soprannominata vita" (S. Aspinall, 1933, a proposito d'eteronimi).

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