giovedì 29 dicembre 2011






Poi accarezzava, testa bassa, il bordo merlettato della maglietta.
Pensava.

A quel Natale che non portò neve.
A quel Natale che fu una rinascita vuota, di sogni trattenuti ed ancora irrealizzati.
Alle gambe di lui in quell’inizio di inverno.
Al freddo.

( Come quelle gambe correre forte sulla strada di sempre.  
Come i suoi occhi di allora tornare a guardarle. )

Guardava il gelo sul prato, con uno sbuffo spostava i capelli dal viso, mentre nascondeva le mani in tasca. A cercar calore. A trovare casa. L’istinto si scopriva prudente, sorprendentemente. E i gesti si confondevano, sul finire della notte, con flashback di emozioni (che fummo. E che mai ci dicemmo. ) La notte indossava il suo abito migliore, addobbata di luci e parole. Lei, all’angolo del tavolo, giocava con i ricordi. ( Forse un  anello tra le dita, forse sguardi intessuti di sensi.)

E poi folate – improvvise e pure taglienti - di vento gelido, ad aprirci gli occhi.

( C o m e   q u e l l e   n o t t i  c h e  s o n   f a t t e   p e r   t r a d i r s i.  
C o m e   q u e l l e   n o t t i   c h e   s o n   f a t t e   p e r   t r a d i r c i. )

Pensava.
A quel Natale che lo portò da lei.
A quel sentimento scomposto, ancora inventato, mai completamente vissuto. Lo sentiva ogni volta sotto le ciglia, premere forte come ad impedirle la vista. Oltre, nebbia.
Pensava a quel Natale che non portò la neve.
Che, con la neve, restò aggrappato agli addobbi.
Che bruciò in un falò il giorno della vigilia.
Che disse bugie.

(Ma che ti portò da me.
Che mi portò da te.)



-Buon anno a lei, 
buon anno a me.-

martedì 20 dicembre 2011

Il trucco delle vesti



Drappi di stoffa a formare un’unica veste. Nel disordine agitato della notte ricostruimmo, pezzo per pezzo, la voglia di scoprirci.

Ci spogliammo.
Ci spogliammo come fa la luna all’invecchiare della notte, lentamente. Ci spogliammo ed era tarda l’ora, per rivestirci disordinati al sorger del sole. Ci mescolammo come carte in una mano di poker, quando dietro c’è il trucco. Col rischio, recondito e ancora sconosciuto, di perdere tutto. O di vincere. Ci mischiammo e non potemmo scorgerci, come carte ancora in mano ai giocatori, a guardare ognuna in una direzione differente.

Drappi di stoffa a formare un abito solo, pelle. 

Ma noi ci spogliammo piano, vesti come pezzi di vita da raccontare, da toccare uno alla volta. Avvertimmo la stoffa tra le mani, potemmo toccarne la trama, e della trama nostra conoscere meglio gli eventi. Ma non parlammo, quando fuori pioveva e l’aria era calda, non udimmo e non dicemmo parole, mentre la luna mostrava la sua angolazione migliore. Pudica, concedeva poca luce, aspettando, paziente, di potersi mostrare. Perché è come se svelasse un segreto, la luna, quando si affaccia piena sulla nostra vita, per addormentarsi pigra e risvegliarsi nuovamente intimorita. Come occhi timidi dalla finestra, come una finestra su mille occhi. C’è una timidezza sottile, nel darsi senza concedere mai.

Drappi di luce come frammenti di vita.

Ci spogliammo, e nel farlo ci rubammo qualcosa. Ci parlammo e rischiammo duro, in una di quelle mani in cui sei sicuro, c’è il trucco. Ma ci spogliammo piano, come la luna al principio della sera. Ed il trucco io lo capii, dietro chilometri di sensazioni taciute, dietro il senso delle parole ancora da capire.

Ci rubammo qualcosa. Ci spogliammo e ci incatenammo all’altro, rapinandolo. Drappi di vita come frammenti di stoffa. Drappi di stoffa come pezzi di vita.


Image by www.etimo.it
Da Bonomi, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana
                                                                              

martedì 13 dicembre 2011

La notte che non mente





"Guardami".
Milioni di sguardi in un momento.

Sceglievo la notte, per decifrare i messaggi della sua assenza. Sceglievo l’assenza, dietro volti e parole, per sfuggire alle promesse. Sceglievo ancora la notte, dietro i riflettori delle sue attenzioni, e scivolavo poi lentamente nel sonno, per dar pace ai pensieri. Figli di niente, fini a sé stessi. 
Srotolavo le attese, come gomitolo da riavvolgere poi. Nell’attendere, che pure era piacere, incanalavo le aspettative nella vena del niente, come flusso forte e arrabbiato che non ha sgorgo, né sorgente. Figlio di niente. Perché niente è al principio del darsi per necessità, che mi accompagnava prima, e che pure mi accompagna ora. 
Per paura nascondevo le mani, come se amare significasse necessariamente toccare. Ma con gli occhi, con gli occhi noi ci davamo di più. E bastava abbassare lo sguardo per incontrare il suo in un riflesso di luce, per ingannarsi di nuovo e avvicinare le mani. Perché amarsi è un inganno, e guardarsi diventa sempre una bugia. Ma la notte, lei non mente, ché a parlare son solo voce e pelle.

Mi dicevi "Guardami".
Ed io vedevo milioni di occhi in un solo sguardo.

Inciso negli occhi ora ho un graffio, e sotto le unghie vernice. Frammenti di pareti a cui mi aggrappai. Sotto le unghie la terra, della strada consumata nel tempo. Sulla bocca, sulla bocca ora ho un altro sapore. Nella mente, sforzi e desideri contratti. Di mani che non son le sue, ogni notte. Di occhi che non sono i suoi, ogni giorno.
Ma scelgo ancora la notte.

Per non raccontarmi più bugie.

martedì 6 dicembre 2011

Blu notte




Non più parole arricciate tra i capelli. Non più mani a districarle e ad impararle a memoria.
Ho curato ferite grandi e assecondato, con la smorfia afflitta del viso, la forma curva della mia cicatrice. E’ un processo naturale, quello che fa del sangue crosta e della ferita segno. Ma con la musica, mi disse qualcuno, con la musica si disinfetta, e con le parole –le proprie parole- si blocca il sangue in eccesso. Ho ascoltato, e stretto forte i polsi ogni sera, e ceduto all’inganno del raccontarmi. Scoperto presto, sfuggito poi. Ora taccio. Ché le parole, l’ho sempre pensato, storpiano i pensieri. Ancor di più, quando questi sono grovigli di sensazioni inespresse, intrecciate all’incertezza, saldate forte l’una all’altra in un ballo continuo, ed infinito. C’è musica anche lì.
Ma ha un suono nuovo, questa notte, ad ascoltarla dalla stessa finestra di sempre.

Ti è mai capitato? Che, per quanto poco possa valere, non ci fossero parole per spiegare un momento, e che tu le cercassi, ostinato, per trovarle poi, chiare, solo dentro un odore.

Non più parole da ascoltare, in questa notte svestita che non ne ha mai abbastanza. Non più mani sulla pelle, ché son quelle che dicono di più. Senza voce anche i pensieri, così muti e così semplici che diventa un processo naturale pure quello di non rompere il loro silenzio. Di viverlo.
Ma ha il tuo odore, questa notte, ad annusarla dalla stessa finestra di ieri.

E il tuo colore, a guardarla invecchiare, sapiente, sullo stesso cielo di sempre.