venerdì 1 agosto 2014

L'analogia sghemba





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Ma scrissi pagine sbieche, frasi oblique di una obliqua mancanza. Scrissi in corsivo, perché obliqua fosse l'andatura. Marciai di lettere, lungo una strada bianca che a nulla avrebbe portato. Cantai di eroi quotidiani e di quella carezza-madre che è più di un'eroina. Incisi di grafemi roccia muta, facendola parlare. Constatai che a nulla sarebbero valsi chilometri di parole, ma volli ancora scrivere - ché tanto, mi dissi sottovoce, quel che scrivi tu lo senti già -. Ma rivelai a me cose che mai la mia mano avrebbe pensato di scrivere. Profeta di un reale illusorio, a fingermi padrona del mestiere davanti ad una tastiera - che se fosse calamaio avrebbe dove altro immergersi, piuttosto che annegare in gocce di lacrime mie -. E sarebbero - pure quelle - lettere sbieche, frasi oblique di una obliqua mancanza.

- Cosa mai scriveresti, qualcuno mi chiese, se nessuno ti avesse mai ingannato? -
- Il dolore è ispirazione, l'inganno è solo un impostore. -

Mai scrissi del carnefice, io scrissi solo e soltanto del dolore. Mai commentai fatti accaduti, mai raccontai i tranelli, le malattie e gli imbrogli. Mi feci strada nell'alfabeto cercando lessico e forme linguistiche appropriate. Io mai - mai - scrissi o dissi quale fu l'inganno. Ma scrissi. E son state - pure quelle - lettere sbieche, frasi oblique di una obliqua mancanza: perché si percepisce di traverso, attraversando ogni parte del mio corpo. Un taglio di precisione lungo la carne, dall'angolo dell'occhio, al tallone mio che forte non è stato mai. E allora scrivo in corsivo, perché obliqua sia pure l'andatura: di questo ragionare perpetuo e sfiancante che ha nome Passato e che mente, mente spudoratamente: 
                                                   
                                                           ché a passare, questo qui, non passa proprio mai. 


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