mercoledì 12 febbraio 2014

Tlin






Un tlin. Poi l'inizio di una nuova vita.
Gocce come istanti che insieme abbiamo legato - sembrava indissolubilmente - l'uno all'altro, e lancette che nessun altro compito avevano, fuorché scandire un sentimento. Farne un ritmo costante sul quale avremmo scritto musica e parole, e danzato, mai stanchi, lungo i corridoi della paura di perdersi. Ma avremmo scritto e danzato, come danzatori esperti - che di vita e strada ne abbiamo entrambi piene le tasche - e, come danzatori esperti, non ci saremmo fermati sul primo incespicare della musica. Lo avremmo fatto - decidemmo - lasciandoci guidare dall'altro. Ma manca, in questo ballo, la libertà di lasciarsi andare totalmente all'altro. Manca, in questo brano, la sicurezza che l'altro - muovendosi, tra pirouette e salti, braccia tese e poi ancora chiuse in un abbraccio - possa riuscire a non fare nulla per deviare l'altro. Per ferire l'altro. Manca.
E tanto altro abbiamo, compresa un'idea - ancora bozza - del futuro. Il pensiero comune che la felicità sia dormire nel nostro abbraccio. L'opinione - la stessa - sui progetti andati in fumo del mondo.

Un tlin. Un altro ancora. Poi le domande che ci si fa quando il passo, nel ballo, pare essere davvero più lungo della gamba.
Gocce come istanti che insieme abbiamo cucito - la pazienza dalla nostra - l'uno all'altro, e lancette che nessun altro compito avevano, fuorché scandire il nostro sentimento. Un ritmo, musica e parole. Poi danza. L'ennesima e la meglio riuscita di tutte. Danzatori esperti ma ignari delle paure dell'altro, a muovere passi sul cornicione unico delle proprie paure. Aver paura, no, non lo si sceglie. Si sceglie soltanto con chi condividerla. Si sceglie un abbraccio fra tutti, un sorriso fra tutti, uno sguardo fra tutti. Si ipotizza che questi possa comprenderla, poi alleviarla, senza nessuna pretesa di farla scomparire del tutto.
Manca, in questo ballo, la consapevolezza che il dare, in questi casi, prescinde da ogni cosa. Manca, in questi passi, un passo incontro all'altro, nella speranza che stia meglio.

Ma il nostro, no, non fu un ballo. Perché un danzatore sia tale, non può permettersi la paura. Fu un sentimento - che comunque dalle gambe partiva, e che, con le gambe, ci fece rincorrere il tempo, e contare i secondi, e raggiungerci in ogni posto a qualunque ora. Fu un ritmo. Che talvolta pare impossibile da tenere. Manca, oggi, la certezza che la tua voce comunque ci sarà, che il tuo braccio comunque mi guiderà, che i nostri passi comunque all'unisono si muoveranno. Manca il compromesso, l'unica coreografia compiuta dell'amore. Oggi c'è silenzio. Né danza, né movimento. Oggi che tutto sembra fermo.

Oggi che quel tlin mi pare eterno.

giovedì 6 febbraio 2014

A





Nelle rubriche della vita, dentro l’abbraccio stretto delle pagine, in una successione di volti e di voci, di cifre e prefissi che la memoria non riesce a conservare intatti, i nomi non sono che indirizzi senza mura, e gli indirizzi nomi che non hanno volto. 

Il dito, appena inumidito dalla mia saliva, segue le linee della penna come fosse il filo del telefono e ripercorre, passo dopo passo, telefonate perse e ricevute, parole che bisognava tacere, frasi di circostanza non adatte a quella determinata circostanza, espressioni di rabbia dimenticate, frasi perentorie ed altre implorate, dichiarazioni d’amore e addii. Tutto ha un nome qui dentro – pensavo -, e tutto ha importanza per un tempo definito e che si fatica a definire. 

Vibrava, sulla schiena, una sensazione di perdita e nostalgia che un nome unico, no, non ce l’ha. Che dovessi classificarlo, ordinarlo, catalogarlo, non saprei trovare iniziale. Saprei trovare un indirizzo. Forse due, forse tre. Ma un nome unico, quello no, non saprei darglielo. 

Nelle rubriche ancora intatte - malgrado i display possano, senza inchiostro, riprodurne di identiche- c’è ancora spazio per altri numeri, identità da localizzare, da bloccare, da fotografare. Ci sono felicità ormai scordate, malgrado la vita possa, senza memoria, riprodurne di nuove e mai identiche. Tra quelle lettere,  anche il dolore ha un nome. E un numero di telefono, e un indirizzo. E un volto e una voce. Quelle lettere, che altrimenti altro nome avrebbero, sono grovigli di parole ammuffite, sintetizzate e poi riordinate. Di quelle che la memoria non vuole conservare intatte e che il display, all’epoca dei fatti, ancora non poteva riprodurre identiche. 

Tutto aveva un nome, qui dentro. Ma i nomi, qui dentro, non sono che indirizzi senza mura. E gli indirizzi non sono altro che nomi senza volto. Vibra, all’altezza dello sterno, un’emozione di conquista e di serenità, che una definizione sola, no, non ce l’ha. Che dovessi ordinarla, catalogarla, classificarla, non saprei trovare iniziale diversa da quella del tuo nome. Con un indirizzo da dividere, quattro mura, e il mio e il tuo volto esattamente a metà.

Alla lettera A.