giovedì 27 ottobre 2011

E poi gli occhi miei



►Dance on my skin, Mi and L'Au


Ti spiego un istante.

Mi chiedi stai bene.
Il tempo si arrotola piano, poi corre, sulle discese sassose degli istinti miei.
Gli istinti miei che risalgono, spinti da una nuova corrente. Vento tiepido, e discreto. 
Le gambe tue pure fredde. E immobili, ad aspettare nuovi orizzonti. Di un Sud immaginario, scenario di scene mai viste.
Mi chiedi stai bene.
La voce tua che pure vibra, tra note che di passione (si) cibano. E poi gli occhi miei.
Lentamente. Lega i miei capelli ai tuoi, di nodi inconsistenti. Districa le ore trascorse. E con le dita, con le dita disegna profili sulla mia schiena. Del tempo trascorso. Con le dita percorri il mio viso. E sotto gli occhi poi fermati. Ché sulle gote sembri, oppure diventi, goccia e riflesso di me. E le mie gote divengono, oppure appaiono solo, traccia di te.
E il disegno di te sulla pelle.
E il disegno di te sulla pelle.



Fallo lentamente. Annoda le parole alle mie dita, stringi i miei polsi e guarda le gambe. Son ferme a riposare, reduci da corse già concluse. E son fredde, ad aspettare cartine geografiche di un Nord sconosciuto.

Ti spiego un istante.

Lenzuola stese ad aspettare il sole, in un inizio di inverno che è ancora caldo.

Ti descrivo un odore. Mi dici che è buono. Mi tocchi le braccia. Guardi le mani. Scivoli piano. S’annoda il pensiero. Mi scopri le spalle. Un ritaglio di tempo. Lenzuola già asciutte. Un viaggio che dura una notte. Una notte in un viaggio. Le dita tue che somigliano a mille matite.

Ti spiego sto bene.
Mi chiedi un istante.

domenica 23 ottobre 2011

E la memoria cos'è


Dal sonno dei ricordi – di quando ci si batte, addormentati, nella guerra, pure assopita, della dimenticanza – mi risvegliai affrettata, a cercar tra le fotografie quello che avevo tralasciato spostando l’obiettivo verso bei profili, immortalando l’apparenza, allontanando il vero – anch’esso bello, nella sostanza e poi nella forma – dal flash.
Scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle, diventata lastra impermeabile. Sostanza viscida era pure il sentimento, violentato nei principi suoi di libertà. I suoni assenti, nell’inesistenza di gesti. E mani aperte e tese verso il niente. E volto e sguardo persi ad inseguir costanze. Di quello che c’è per consuetudine, che non si lascia amare, e di cui si rifiuta, incoscienti, l’amore.

Nel sonno dei ricordi, avvinghiata all’immobilità nervosa dei rimpianti, sedussi altre parole. E queste, intrappolate tra ipotesi di tempi verbali, mi dissero in futuro semplice. Futuro semplice, ma incerto. La memoria allora cercò appiglio, si rotolò su sé stessa e si piegò, all’aggrottarsi delle mia fronte, su una sola frase tua, ricordo, passato remoto, movente di una sensazione che io provai – forte e violenta e fredda – all’alba dell’incontrarci: "io non vorrei avere ricordi."

Sì, scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle. Nel momento esatto in cui le tue parole cadevano sentii i muscoli cedere al loro passaggio, sentii raggomitolarsi le fila di un discorso consumato da anni, e le fotografie, spezzoni di vita bruciata, valere niente. Sulle gambe scorrevano, le tue parole, cercando sosta tra i pori, succhiando vita da dentro. Sentii la vita, la vita e nient’altro, passare dalla pelle. E rientrare, ritmata da un respiro profondo, intromettersi, comandare i miei movimenti. Dimmi, come lo fotografi un istante così? E la memoria cos’è quando si agisce per sensazione, quando uno scatto è vile interruzione e quando la mente non registrerebbe che la eco – debole e già fredda – di un fuoco che riscalda al suo accendersi. E che poi non resiste. Che poi si spegne.

"Io, invece, non ne ho. I miei son presente che non sente il tempo e che non lascia il suo."

Nella veglia dei ricordi – di quando ci si batte, ostinati, nella guerra, pure testarda, della memoria – mi ritrovai esausta, a cercare, tra le parole, quello che ho tralasciato.

Forse

solo una fotografia.

Dal sonno dei ricordi – di quando ci si batte, addormentati, nella guerra, pure assopita, della dimenticanza – mi risvegliai affrettata, a cercar tra le fotografie quello che avevo tralasciato spostando l’obiettivo verso bei profili, immortalando l’apparenza, allontanando il vero – anch’esso bello, nella sostanza e poi nella forma – dal flash.
Scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle, diventata lastra impermeabile. Sostanza viscida era pure il sentimento, violentato nei principi suoi di libertà. I suoni assenti, nell’inesistenza di gesti. E mani aperte e tese verso il niente. E volto e sguardo persi ad inseguir costanze. Di quello che c’è per consuetudine, che non si lascia amare, e di cui si rifiuta, incoscienti, l’amore.
Nel sonno dei ricordi, avvinghiata all’immobilità nervosa dei rimpianti, sedussi altre parole. E queste, intrappolate tra ipotesi di tempi verbali, mi dissero in futuro semplice. Futuro semplice, ma incerto. La memoria allora cercò appiglio, si rotolò su sé stessa e si piegò, all’aggrottarsi delle mie ciglia, su una sola frase tua, ricordo, passato remoto, movente di una sensazione che io provai – forte e violenta e fredda – all’alba dell’incontrarci: "io non vorrei avere ricordi."
Sì, scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle. Nel momento esatto in cui le tue parole cadevano sentii i muscoli cedere al loro passaggio, sentii raggomitolarsi le fila di un discorso consumato da anni, e le fotografie, spezzoni di vita bruciata, valere niente. Sulle gambe scorrevano, le tue parole, cercando sosta tra i pori, succhiando vita da dentro. Sentii la vita, la vita e nient’altro, passare dalla pelle. E rientrare, ritmata da un respiro profondo, intromettersi, comandare i miei movimenti. Dimmi, come lo fotografi un istante così? E la memoria cos’è quando si agisce per sensazione, quando uno scatto è vile interruzione e quando la mente non registrerebbe che la eco – debole e già fredda – di un fuoco che riscalda al suo accendersi. E che poi non resiste. Che poi si spegne.
Nella veglia dei ricordi – di quando ci si batte, ostinati, nella guerra, pure testarda, della memoria – mi ritrovai esausta, a cercare, tra le parole, quello che ho tralasciato.
Forse solo una fotografia.
"Io, invece, non ne ho. I miei son presente che non sente il tempo e che non lascia il suo."

domenica 16 ottobre 2011

Come tela





Intermittenze colorate, stanotte, illuminavano il mio viso e non la mia mente. All’accendersi di uno sguardo, il mio fuggiva e si abbassava, a cercare tra i passi la direzione giusta. Intermittenze siamo noi, vuoti d’ombra e flash. Effimeri.


Intermittenze colorate, stanotte, tra la folla entusiasta ed il mio accendermi bianca. Bianca per un solo minuto, a ritrovare la certezza/carezza che non ho. Bianca perché non si cambi, perché ci si inventi. Imprimere un colore nuovo su una base che ne modificherebbe soltanto la tonalità. Bianca come le lenzuola stropicciate e consumate in questa notte che ha oltrepassato l’alba e che è restata sul collo, scivolata lungo le braccia e poi sulle gambe. Sapiente e bella, ma l’ennesima ripetizione del niente. Resta aggrappata alle pareti, e preme, senza raggiungere le stanze di me.

E invece, come tela bianca, io cerco il mio ritratto. Tratteggia i miei sorrisi. Disegnami Passione. Colora bene le mie labbra. Fammi parlare, a matita. Indovina i miei occhi. Capisci le mani. Inventami un colore. Dammi un perimetro massimo e un limite giusto.


Non voglio ancora dare.
Non voglio ancora amare.


Come tela, io cerco solo il mio ritratto.

lunedì 10 ottobre 2011

Sulla punta delle dita






►Boats and birds, Gregory and the Hawk


Era un graffio sul palato.
Quando ogni sapore diventa bruciore, ed ogni consistenza uguale all’altra. Era un graffio da curare. Erano sensazioni da dimenticare. Da lì, dalla curva della bocca, i sapori, la consistenza delle cose erano inevitabilmente deformati, contaminati, reinventati. Me lo dicevo, la realtà non è la verità. La verità non è necessariamente la realtà.

E’ così che ci si opponeva alle cose, al senso vero delle cose. Drogati di noi, filtravamo lo sguardo attraverso illusioni fantastiche che pure ci parevano realtà. E’ così che contavamo i giorni. Li vedevamo scorrere come in una sequenza automatica. S’attendeva, insieme s’attendevano i titoli di coda, i ringraziamenti, la scritta the end. Il gusto delle cose, quello per cui vale la pena mordere e graffiarsi, era sentore – flebile, dimenticato - di qualcosa che non si può più.



Ho un sapore nuovo sul palato, e odori freschi di una primavera in autunno.
Ho un volto nuovo da guardare, nello specchio, e al di là di me.
La punta delle dita, lì dove tutto passa e diventa emozione, ricomincia a vivere. Le sento, le dita, respirare di nuovo. Desiderare. Sento l’ossigeno attraversare la pelle e salire, lungo percorsi di sangue, nello stomaco e poi più in fondo. Di nuovo, io sento.



Ho un sapore nuovo sulla pelle, ed un ricordo. Di quando i tuoi occhi erano riscoperte e le tue mani desiderio. Ho un sapore nuovo ed un amore archiviato. Sei stato sapore, odore e volto. Sei stato poi graffio, ora ricordo e paradosso. Di quello che – in realtà - abbiamo perso definitivamente. E di quello che – in verità - ci apparterrà per sempre.

Lì, sulla punta delle dita.




domenica 9 ottobre 2011











Ed in ogni giorno che mi aspetta, in ogni gesto di speranza, in ogni angolo ed in qualunque volto, cercherò – stringerò disinfetterò - la mano tua. E asseconderò il tempo che toglie – che mangia divora scompone - certezze.


Sarai, quando non ci sarai, sarai ricordo inciso negli occhi, di teneri istinti.
Sarai, sempre sarai tutte le volte che non ti ho chiesto scusa, o quando non t’ho tenuto la mano.
Sarai la bambina che sei, che non è mai stata figlia, e mai grande.
Dell’amore lasci traccia. Della Vita tu hai il nome. E dal buio dei tuoi anni – o forse nitidezza, non lo so - dai tuoi tormenti, dalle lacrime e dai sospiri, me l’hai insegnata - donata e indicata -, la Vita.


In ogni giorno che mi aspetta, in ogni gesto di speranza, in ogni strada e in ogni volto, cercherò – ritroverò, carezzerò, bacerò- la mano tua.





A nonna Vita,
a nonna mia.