martedì 4 maggio 2021

Antonia



L'ho inciso nel cuore, quel giorno, e negli occhi come una fotografia. Ricordare - lessi - v. tr. [lat. recŏrdari, der., col pref. re- [...],  e con una mano ressi la testa che tentava. invano, di scivolare sul tavolo esausta. Non vi era riposo per i miei occhi già stanchi - polline e amore, quali armi peggiori -, non c'erano fiori sul tavolo, né dolci, né il tè che tanto amavi. C'erano foglie di ulivo, le prendesti con cura e le posasti piano sul bordo, poi iniziasti a cantare - re-cordo, re-cordi - una musica nuova anche a te stessa. Stringevi i pugni e li nascondevi, come a mantenere forte un segreto. Leggevo i tuoi occhi, leggevi i miei sguardi, piccola dolce donna d'argento. - Dovrei proprio andare - dissi sottovoce per non disturbare. Guardasti guardinga, con sospetto e indecisione. Toccai la tua mano con la mia, poi senza parlarti andai via e lasciai un bacio poggiarsi sulla tua fronte. Piccola mia, mia vecchia signora, fai che i miei giorni sian pieni di te, prima d'ora. Donna d'argento, mia musa e guerriera, fai che il domani si ricordi di te. La mia memoria ti ha perduta, pensavo stanotte: non ricordo i tuoi gesti, non più la tua voce, né mani, né gote. Però ricordo bene il tuo odore, donna d'argento, abbraccio di latte, mia carezza per sempre. E infatti, dicevo, lessi:

Ricordare, v. tr. [lat. recŏrdari, der., col pref. re- di cor cordis «cuore», perché il cuore era ritenuto la sede della memoria]

Ecco, nonna, a ricordarti d'argento è il mio cuore.


                                                                                                                                    A nonna Antonia

giovedì 29 aprile 2021

Grafite








Era un profumo, lo scrivesti anche tu. Era un profumo e niente di più.
Cieca di occhi, io vedo di tatto. Insonne d'amore, distratta vergine savia, curo ferite di latte, poi mastico nenie, infine cullo le ore sul finire del giorno. Dove sei - mi domando - minuto ultimo del mio dì, dove sei - mi domando - sapore di miele e cannella, dove sei - ancora mi chiedo stanotte -  mio languido bacio/ carezza carnale. Tu piangi, io bevo dai tuoi occhi straziati, ti leggo lacrima di segni, mi spiego sapore di sale. Sorda ai tuoi suoni, io sono cristallo che cade. Mi senti, sul pavimento e nei fianchi, mi senti, ti sento, mi senti cadere. Soffochi il pensiero, lo vedo stavolta. Ricordi la forma, tracci nuda la mia gamba distesa sul foglio. Grafite ancestrale. Tratto infuocato. Muta di parole, io parlo di odori. Fragranze di mare - poi, vedi, salsedine e sabbia - e ancora non so ritrovarti e cercare. Nella mappa dei giorni, sbaglio strada e temporeggio. Son io quel ruscello, vivido e forte, son io la tua acqua - tu bevi, io ingoio - la tua colpa, il tuo affluente segreto, sei tu il mio segreto. Cieca di occhi, io vedo parole. Sorda di voci, io sento vibrare. Muta di suoni, io parlo di tatto. Tu ridi, io mordo i pensieri. Ti assaporo canzone, poi - vedi? - mi annusi, è un'altra passione. Cieca, poi sorda, ora muta, poi cieca, ora sorda, e muta di te. Solo di olfatto è il ricordo, lo dicevi anche tu. Vedi? Era un profumo e niente di più.



venerdì 23 aprile 2021

Donna di prima







(Sono queste le notti in cui leggo Alice attraverso lo specchio e non so guardarci dentro. Mastico e ingoio, mai sazia, tutti i desideri. Li sento nel petto, poi ancora nel cuore, fanno tremare la mia passione).

Guardo lo specchio. C'era una volta e sì, c'è ancora adesso, una giovane donna - mio dio, c'è ancora - una giovane donna color della pesca, labbra rosso corallo, penna sottile e affilata, intensa poi appassionata, una giovane donna di carne e incoscienza, una promettente poetessa mancata. Guardo lo specchio, ci vedo un riflesso, son io nello specchio? Segni sul volto del tempo trascorso, il seno rotondo, gli occhiali sul volto, lo sguardo addolcito, sono (davvero?) similitudine di me stessa e di altre: son stata di latte, poi pianto, ora solo riflesso. Mi guardo allo specchio e non taccio, recito a memoria tutti i nomi che ho incontrato come un appello a guardarmi: nuda, stavolta, e vestita di rosso. Nuda, stavolta, svestita di ogni menzogna. Nuda e sincera, come mai prima d'ora. Perché c'era una volta e c'è ancora adesso una donna di tatto, di pelle, di odori, una donna di prima finalmente cresciuta. Morbida ed elastica, a districarsi per anni tra i tranelli del cuore. Tenace, appassionata, ostinata. C'era una volta e c'è ancora adesso una giovane donna color della pesca, labbra color corallo, penna sottile e affilata e il suo specchio incantato.


                                                                                                                                            Antonella

giovedì 7 novembre 2019

Le parole sono vive - ho perso l'inchiostro -




Non so più scrivere. Mastico appena due pagine di altri prima che il sonno mi risucchi. Dimentico l'alfabeto - eppure dovrò insegnartelo, mi dico. Sconosciuti tutti i grafemi, figure retoriche neanche a parlarne, ho perso l'inchiostro, ho perso il momento, è tutto fermo dentro. Non c'è penna, foglio, pergamena che tenga, non c'è minuto libero che possa spiegarti, che possa spiegarmi, che possa raccontarci.

Non so più scrivere, le lettere cadono dalle mie dita come anelli troppo grandi, i suoni, quelli li ho confusi già da tempo coi tuoi pianti. Non so scrivere e non so quando, allungherò il giorno in cerca di una notte buona per farlo. Ti addormenterò col mio taccuino in mano, e tu puntualmente lo strapperai. Ti insegnerò che la penna è un pensiero, un concetto, una possibilità. Proverò a raccontarti che le parole sono vive, respirano, si nutrono, nutrono, possono morire e far morire. Ti insegnerò che le parole possono tutto. Che scrivere è libertà e la libertà è ciò che non dovrai mai imparare. Tu sei libero. 

Non so più scrivere e forse è perché dovrai imparare a farlo tu, come una staffetta di parole che io ho perduto ma tu non si sa mai. Non so più scrivere e non c'è rammarico, so che hai in consegna le mie parole e le declinerai col tuo linguaggio. So che avrai tempo per restituirmele intatte e allo stesso tempo con un senso tutto nuovo, so che le amerai, so che lo farai.

Non so più scrivere e il filo del discorso l'ho perso già da un po', in queste stanze odor del latte, in queste notti da cullare, il mio tempo mi ha resa analfabeta e piena di te
eppure
ti amerò con tutto l'amore che posso,
eppure
ti scriverò, figlio mio, tutte le lettere che posso.


giovedì 17 ottobre 2019

Donna di cuori - bozze ritrovate di tanto, tanto tempo fa -

Lume di candela, tutto per tutto, la buona sorte che inganna. Doveva essere quello il tempo dei giochi leali, delle armi pari, della fortuna a metà. Perché chi gioca non vuol sempre vincere, e chi vince, sai, spesso non aveva intenzione di giocare. Come un tavolo da poker il nostro tempo, a scommettere su una sola carta: donna di cuori calasti, donna di cuori guardasti. Ma quadri e picche furono i fortunati, e dei fiori non fu che un profondo desiderio. La candela, ahinoi, illuminò per poco, e la cera - ricordi? - si consumò veloce. Fu poco il tempo per vederci chiaro, troppe le strategie da seguire, poche le carte da giocare.
La parola "meraviglia" usasti per descrivermi, le nostre mosse si persero in un bacio, carte e denari gettati per l'aria. L'ansia di noi violenta e improvvisa - cercasti il mio senso, cercasti i miei occhi. "Li vorrei per tutta la notte" dicesti, mentre la partita continuava. Le mie gambe accavallate e quella sigaretta che non fumo più da anni, l'aria di chi sa già che vincerà l'ultima mano : "tanto vinco io", decisamente dissi. E vinsi, io che non volevo proprio giocare: poker d'assi e carte scoperte. Io, la "tua" donna di cuori, con il jackpot in mano, quadri e picche nel mazzo e neanche un fiore ricevuto in dono.


sabato 15 settembre 2018

Settembre nel ventre








L'odore di Settembre si insinua nella serratura, come una chiave che aprirà chissà quali mondi, quali eventi, quali sorprese. L'odore di Settembre è nel ventre del giorno, quando il tramonto è in anticipo e la notte - la notte - si prende più di quel che può. Settembre era il primo giorno di scuola, i pianti strozzati, il pulmino giallo che era sempre più puntuale di me. Erano i calzini a strisce dello stesso colore della maglietta, la merendina nello zaino che sarebbe sparita molto prima della ricreazione, le vocali appese al muro, proprio sopra la lavagna, ognuna con un'immagine ad accompagnarla, ognuna a dar le iniziali ancora oggi. E così - molti anni dopo - l'odore di Settembre era il mio rientro a Roma, dopo un'estate a ridere nella mia terra, dopo un'estate a farmi bella. Suoni di clacson e odore di pizza al taglio, urla stridule al primo goal della Roma, il caos dei miei giorni nel caos dei suoi anfratti. Roma a Settembre, gli incontri, le corse, i momenti, i tormenti. 

Settembre che mente, se all'inizio non si fida di te. Settembre, promessa di un nuovo inizio che non smette mai di iniziare. Settembre era quella carezza perduta nel caldo di Agosto, quel bacio non dato, quell'addio sussurrato. Settembre era l'abbraccio ancora caldo di un tempo che sarebbe presto cambiato, erano i mille progetti sul futuro, era l'immagine di un amore ancora sconosciuto, era l'idea di avere poi un figlio.



Ora Settembre è nel mio ventre. Ora profuma, amore mio, solo di te. Ora Settembre, piccolo mio, non aspetta che te.  





lunedì 10 settembre 2018

Tu (lettere a mano)





E chissà se ti piacerà il tuo nome, chissà se ti piacerà il colore di queste pareti, il profumo della primavera o forse no, no, tu preferirai l'inverno. Chissà quante domande mi farai, io che non sono mai stata brava a rispondere alle mie. Se avrai occhi profondi, o sarai schivo anche nello sguardo. Se colorerai davvero questa vita, tu che già brilli di una luce sconosciuta. Mi vivi dentro e da dentro io ti sento, germoglio di sangue e sentimento, anima bella che io so senza sapere. Chissà quale sarà la musica che ti farà addormentare e quali le braccia più calde nelle quali sonnecchiare, tu che mi somigli senza sapere in quale tratto, tu che ancora non sei tu, tu che non sei nemmeno un pronome personale. Se riuscirò nel tempo a dirti che ancor prima di abbracciarti mi hai cambiata, attraversata, nutrita e consolata. Se riusciremo mai, nel tempo, a renderti felice. E chissà poi se ti piacerà il tuo nome, se capirai le scelte che abbiamo fatto senza mai rinunciare, tu che sei il frutto più spontaneo di un amore nato per amore solo. Chissà se questo balcone ti offrirà la giusta prospettiva, se correrai verso il mare o, come noi, preferirai la montagna. Chissà per cosa riderai e cosa invece detesterai. Se sarai buono e in gamba come tuo padre e se, di lui, amerai le stesse cose che io amo alla follia. Se gli somiglierai. Chissà, piccolo mio, chissà.

martedì 31 ottobre 2017

A me basti tu







La disposizione dei mobili provoca dubbi. Il colore delle pareti, talvolta, risponde da sé. Lunghe lettere del nostro tempo da amanti nascoste nell'ultimo cassetto del tuo mobiletto preferito. I nostri regali disposti con cura lungo le cornici di questo nido d'amore. Congetturammo - sembra ieri - una porta di legno e un camino acceso, ipotizzammo - oggi stesso, quasi poche ore fa - un letto morbido e un grande giardino. Ci illudemmo - la pensavo illusione, speranza, vana bramosia - di tornare ogni sera al caldo della nostra casa, in una campagna assolata, lontana dal caos della mia vecchia città.

- La troveremo, lo so, esattamente come l'avevamo sognata - i sogni, mi dicevo, son pur sempre sogni.
- Dormiremo ogni notte abbracciati - il sonno, pensavo, allontanerà le nostre mani.
- Ogni cena sarà una cena a lume di candela, e ogni pranzo un ristoro per l'anima - cibo come consolazione e il tempo che segna le labbra, riflettevo esausta.
- E ti regalerò il sole, ogni sera, e la luce calda del tramonto. - Casa con vista solo nei film, amore mio, a me basti tu.

Per esempio le lenzuola, il loro odore che diventa il tuo, le mie cose disposte secondo il tuo criterio di ordine, i miei risvegli col caffè sulla federa. L'amore che c'è in ogni tuo gesto - quando con la tua mano mi saluti da lontano appena rientrato a casa, quando se è ora di andare vuoi abbracciarmi ancora, per l'ennesima volta, rischiando ritardi improbabili, quando cammini, in questo nostro piccolo angolo caldo, e a me sembri un premio di dio, a volte immeritato, a volte contrappasso onesto. Quando ti scopri per darmi la tua coperta, quando mi cedi l'ultimo pezzo di cioccolato, quando non vuoi lasciarmi sola, quando mi accarezzi con lo sguardo. Tutte le notti abbracciati che effettivamente son state e saranno, le cene a lume di candela, il nostro nido d'amore che sembra esser stato disegnato per noi. 

Persino quel regalo speciale, al di là della finestra, quand'è sera e il resto s'addormenta:









domenica 30 aprile 2017

Il cielo è lo stesso







- Prega che torni il sole - (e dentro, a rimbombare, un'unica domanda: cos'è che cerchi, cos'è quello che vuoi?)

Si voltò, mani nelle tasche, e si diresse verso la porta. Oltre quelle mura, un odore di autunno si insinuava nelle fessure, nelle serrature. Partì con un biglietto stretto tra le mani (bianco come il suo sogno di bambino, sintetico e preciso come il tempo da adulto), una valigia colorata, un borsone appena riempito. Partì. Andò, viaggiò controcorrente, approdò in una terra assolata la cui esistenza era fino a quel momento solo immaginata. Scattò fotografie da regalarle al suo risveglio, visse giorni frenetici per donarglieli al ritorno. Sedicimila chilometri di sentimento - limpido ma audace, libero ma vigliacco - dispersi in un volo pindarico, e dissolti, soprattutto, in uno squillo del telefono:

- Sono io, come stai? - e un sorriso d'istinto a dirle il suo cuore.
- Sto bene - le bugie, talvolta, aiutano a esserci.
- Mi manchi - diceva - manchi anche a me -  rispondeva. Il tempo da adulti, pensava, così sintetico e preciso. Pregava ancora che tornasse il sole.
- Sono sempre con te - che strane, le parole, che significando si contraddicono.
- Anch'io, in fondo il cielo è lo stesso -.

(e dentro, a rimbombare, un'unica domanda: cos'è che cerchi, cos'è quello che vuoi?)
Si era voltato, un giorno o l'altro, senza tornare mai indietro. Era andato via, stavolta davvero, senza esser mai scappato via. Partì così come era deciso (decidere o meno è solo un compromesso, non v'è carattere nella risolutezza, v'è così tanto ardore nel dubbio). In tasca le solite chiavi, sul volto un'espressione asettica. Partì. Viaggiò in un giorno di sole qualunque, a guardare dal finestrino la terra di lei e lei stessa farsi così piccola: un puntino minuscolo, solo due gambe, una faccia, un paio di braccia, un cuore, solo un piccolo cuore. Sedicimila chilometri di sentimento, in quel tempo da adulto così sintetico e preciso. E dentro, a rimbombare, sempre la stessa, maledetta domanda.

- Passerà in fretta, questo tempo - illusi, il tempo dura sempre lo stesso tempo.
- Non vedo l'ora - illudiamoci pure, è tutto quello che ora resta.
- Ti aspetto -
- Ti voglio -
- Prometto -
- Lo giuro -
- Mai una bugia -
- Sarò sempre con te -
- Ancora -
- Di più -
- Io ti amo - - ti amo anch'io -

E finalmente, quella domanda:  - cos'è quello che davvero vuoi? (credersi immortali è un'eresia, sapersi finiti è ciò che realizza i desideri) e dunque cos'è che ti aspetti da me, da noi, dal nostro domani? -  E sì, son strane le parole, ché significando si contraddicono. Le immagini un po' meno, le immagini, talvolta, rispondono davvero:






Ma sì, il cielo in fondo sarà sempre lo stesso.