lunedì 30 luglio 2012

7 -il post che sparirà-


Stanotte, per sette minuti, come sette anni fa.
Sentire la tua carezza sugli occhi, annodarla stretta al respiro/sentirti nelle pieghe della carne, ritrovare quel sorriso che ho sempre creduto perduto/hai le movenze che ricordavo/le mani che raccontano senza sapere/siamo legati, filo rosso e germoglio, catena e passione/ti ricordo affannato, nella non fiducia in me/riscopro l’istante in cui tutto finì/mi stringi le mani, le accosti al tuo petto/ricordo –in un flashback improvviso- di quando mi dicesti “parti con me”/ricordo il sorriso/le mani mie inermi e contratte/ho rubato lacrime ai tuoi occhi –non volevo-/ed abbassato il tono di voce, quando ti ho detto che non sarei partita con te.
E poi stanotte, per sette minuti, come sette anni fa.
Mi dici –con garbo- "non doveva finire"/ti guardo per pochi secondi e so –lo so- che sei solo un ricordo distratto, una abat-jour nel buio del presente/luce soffusa che sempre mi fa ritornare bambina, a chiederti come si fa a vivere come fai tu/e sentire le tue ossa in frantumi, come in quel giorno di Novembre che ti ho detto “ora basta”/come si fa(?) a crederci ancora, nonostante le mie mani puntino nuovi profili/sette minuti, il tempo per dirsi che nulla è cambiato/un solo secondo –quel bacio rubato- per non mentire a me stessa e dirmi –dirmi- che tutto è davvero svanito/eccetto il ricordo soffuso di chi so che davvero mi ha amata.

Dicevo "te lo leggo negli occhi", dicevi "me lo leggi negli occhi":


Stanotte, per sette minuti, come sette anni fa.

sabato 21 luglio 2012

Ma le stelle che ne sanno





Secondo le stelle stanotte avverrebbe un incontro. Secondo le stelle stanotte troverò il coraggio per affrontarmi davanti allo specchio, per poi affrontare –faccia a faccia- un destino. Uno qualunque, già scritto da tempo, molto diverso dal mio. E in quel destino imbattermi, arco e freccia, braccia ben indirizzate. Secondo le stelle sarà Cupido, stanotte, a risvegliare la parte addormentata di me.
Ma le stelle che ne sanno, mi dico, di tutti i destini che ho evitato, di quanta finzione ho recitato, di quante mani –senza amore- ho toccato. "Piacere", con l’aria sommessa di chi avrebbe molto da dire, ma che dà la parola –muta- soltanto alla paura. E le stelle, poi, che ne sanno –che ne sanno- dei suoi capelli o del suo sorriso. Che ne sanno di questo senso di vuoto, o dei momenti in cui l’abbraccio migliore è solo un cuscino. Le stelle non c’erano, no, non c’erano in quella notte piovosa che ci ha fatto incontrare: “somigli a questa sera, ancora un momento e te ne andrai come non fossi mai esistita. Ma ritornerai, lo so, ritornerai”. Loro non lo sanno, che ti ho già incontrato.

Secondo le stelle questa notte concepirò un sentimento, io che scappo continuamente da tutto ciò che mi può dare amore. Secondo le stelle la pelle varrà più di ogni altra cosa –l’odore, il colore, poi la reazione al contatto-. Secondo le stelle c’è un’occasione, stanotte. Ma le stelle che ne sanno, mi dico, di quante strade ho visto sotto 'sto cielo, e di quante direzioni ho percorso, fino a fermarmi, con lo sguardo rivolto verso l'alto, a cercarne altre.

Già, le stelle non lo sanno. Che ora -ora che non tremo più- ho tanta paura. Di quegli occhi. Due occhi nuovi - belli di una bellezza rara -, che ancora -e ancora e ancora- mi attendono. Perché sanno già che -prima o poi, quando non avrò più paura- da loro ritornerò. E invece non lo sanno, le stelle, che da quando lui se ne era andato tutto somigliava ad un gomitolo, un nodo, un affare intricato. Che ho dormito per mesi dalla stessa parte del letto. Che la carne ha tremato fino a farmi svenire. Che ho vomitato per giorni. Che non ho fatto che scappare, da allora. E che, dall'amore, scapperò ancora.

Quelle stelle lì -che stanno ancora a parlarmi di destino, e di arco e freccia, e di Cupido- tutto questo, no, non lo sanno.

venerdì 20 luglio 2012

*






E' come un "grazie", sottovoce, a chi si è fatto presenza in questi due anni.
A chi mi fa emozionare ancora leggendo, a chi si è emozionato leggendomi. 
A chi ha sempre lasciato una traccia sul blog, a chi lo ha sempre fatto altrove, a chi non l'ha mai fatto. 
Grazie a chi, attraverso queste pagine, è diventato costanza, per una come me che non avrebbe mai creduto di stringere rapporti "virtuali". E reali.
Grazie a tutti i silenzi -in particolare ad uno- che mi hanno detto più delle parole, ad una come me che, due anni fa e ancora oggi, ama il silenzio e la discrezione. 
A chi ha scritto con me, e anche a chi non l'ha fatto.
Poi grazie alle strette di mano, agli incontri, ai libri, alle canzoni, ai viaggi fatti in questi ultimi due anni. Un solo grazie -sempre sottovoce- alle mie pagine: carta straccia che mi ha ricordato quanto mi ha aiutata, a 15 anni, scrivere. E che mi ricorda, ogni giorno, quanto sia forte -e a tratti pure bastarda- quella parte di me che non riesce mai a riposare. Il cuore. Oggi e DUE ANNI FA.


Antonella

giovedì 12 luglio 2012

Luglio






Nodi. Tra i capelli e nelle dita, da districare. Attese sfibranti al di là della porta, poi il ricordo esausto di una partenza. Sempre la stessa. Luglio spezza in due il ventre, così come fa con l’anno. Assottiglia le distanze temporali, lo fa con un garbo malizioso, silenzioso, quasi sembra non interferire. Invece, prepotente, disfa le certezze: un anno fa piangevo di un’assenza, un anno dopo mi stupisco di non sentirne la mancanza. 

Nodi. Sentirli nello stomaco, nella carne, nelle ossa. Non riuscire a slegarmi da me stessa. Scoprire, di soprassalto, dietro una musica scritta per me, di essere esattamente tutto ciò che non conosco. Luglio è una donna attraente, ma con le calze rotte e i tacchi sbilenchi. Di quelle che guardarle in viso è una meraviglia, fin quando non si arriva a carezzarle le gambe. Tremano. E l’imbarazzo le irrigidisce, fino a delineare accuratamente i lineamenti dei polpacci, ancora tesi, mai rilassati. Luglio, di nuovo. Nodi, ancora. Non riuscire a slegarmi dalle mie promesse. Che riuscirò –“ci riuscirai”-, che poi farò –“vedrai che lo farai”-, che troverò –“lo troverai”-. 

Pensare che a Luglio accettai il suo invito. Poi ingoiai frasi amare, respirai il suo deserto, riempii il mio del suo deserto. Era distratto quel cielo, un solo inverno dopo, con la nebbia a far da filtro: di una visione asciutta, lineare, semplice, essenziale. Eppure quella nebbia deviò la direzione del suo sguardo, eppure quella nebbia seppe deformare ogni veduta. Di quanto è bella per sé stessa e non dovrebbe intimorire, di quanto ogni momento è un invito a non finire. 

Pensare che è già passato un anno e ritrovo in altre forme un altro invito.
Pensare che è già trascorso un anno e un'altra voce accarezza le mie notti. 
Che non sento più la sua mancanza. 
Ma che ho nodi -gli stessi- che non so ancora districare.

giovedì 5 luglio 2012

Maschile singolare


Avevo in mente un rigo, deve essermi sfuggito tra le pieghe del vestito. Lino sgualcito, trame sottili a dare ossigeno alla pelle. 

Versi astratti persi e ritrovati altrove, negli sguardi assopiti di un doppiatore. Tu reciti, pensavo, pure quando scrivi. Poi tra le sue virgole il sospiro si faceva vero, dando al tempo il ritmo incauto della prosa. Avevo in mente un verso, un solo endecasillabo, eppure svanisce in un momento, insieme all’illusione di averlo davvero scritto. La notte è una compagna ubriaca, che ti dona l’allucinazione della penombra: come se tutto fosse niente più che un contorno –le labbra di un amante, la scrivania che invoca ordine, le mie gambe incrociate all’angolo del letto- la notte è una puttana, di quelle che a poco prezzo calmano i bisogni –che siano anche di calma, o di silenzio -. E il giorno solo un sostantivo, maschile singolare, che attende il suo vitale predicato verbale. 

Eppure avevo in mente un rigo, qualcosa che dicesse piano –che parlasse chiaro- che di tutte le parole tra le dita –come anelli, come coltelli- non rimane che il contorno. Avevo in mente una frase sola – breve, pure scontata- che avrebbe in un momento reso il dolore straccio vecchio. Da buttare.

Versi astratti – o forse non è che delirare- persi e ritrovati in un frutto e al primo morso, quando il sapore è ancora esperimento e il palato non si annoia ancora. Sì, avevo in mente due parole, da pronunciare a me stessa prima di dormire: la notte è una carezza, concede agli occhi la sensazione della pace. Il giorno niente più di ciò che manca, un maledetto e vitale maschile singolare. 


(Ché attendo il mio predicato verbale, amare).



(Prima di te)