giovedì 30 agosto 2012

Stelle artificiali (su strade deserte)

On air: Enjoy the silence --->
Che suono hanno le tue parole? Non ne resta che l’eco.

Era notte, tutte le volte. Era notte e al giorno era solo un passo. Le strade deserte hanno un fare astuto, ti illudono che sia tu a guidare, a scegliere direzione e velocità, e invece son loro a portarti dove vogliono andare. Le strade deserte quasi sempre hanno un nome, in quest’estate ogni via aveva il nome tuo. Mi dicesti “ti ho pensata”, risi, improvvisando stupore. Ti dissi “anch’io” ed il cielo improvvisamente cambiò umore. I giorni accavallati l’uno all’altro, e alle promesse taciute. L’illusione di un nuovo orizzonte, ancora lontano. Le scommesse col destino, che continuamente gioca a dadi: la somma più alta fa il vincitore, ma vincitore di che.

Ed ora a domandarmi che suono aveva quella notte, ora a ricordare il titolo di quella canzone che cantasti. Che suono avevano le carezze? Quale il rumore dei tuoi baci?

Era buio, ogni volta. Buio pesto e gli occhi tuoi a far da spie. Pensavo che in quella strada cupa solo loro mi avrebbero guidato, pensai che se n’era fatta molta fino a quel momento: aspettai il giorno tra le tue braccia, dipinsi il tuo sguardo su ogni parete, lo vidi per giorni guardarmi. Poi la notte –di nuovo- chiese una luce, chiese consiglio: non più i tuoi occhi, non più il tuo sguardo. Finì che su quella parete non rimase che un’ombra, finì che il buio fu ancora più buio. Nello stupore –lo stesso- di poche ore dopo, davanti ad uno spettacolo di luci e di fuochi e di suoni, ti cercai. Sotto un cielo di stelle artificiali sentii, per la prima volta, un rumore più forte, quello della tua assenza:







Ma sotto lo stesso cielo mi ritroverai, e sotto stelle artificiali sentiremo di nuovo -di noi- il suono. Su strade deserte mi ritroverai, che a me, al nome mio, nuovamente ti condurranno. E le scommesse del destino, per la prima volta, sveleranno il loro trucco: la somma più alta fa il vincitore, e il vincitore, ogni volta, non è che il destino.


martedì 28 agosto 2012

Dell'alba e di noi

 
 
 
Anche la penna ha perso il suo inchiostro.
 
Di tutti i tuoi nei, delle carezze ostinate, di quelle notti a dividerci i mali, delle scommesse mai vinte e mai perse, del sorridere ancora, pensando che è giorno. Le luci dell'alba son vecchie indiscrete che ti fissano bene, che non ti lasciano neanche riposare [: ci videro, mentre rimandavamo il mattino al giorno dopo, ci videro e fecero sì che io ti vedessi, senza difese, carezzarmi le mani. Sorridesti, sorridesti di quel sorriso che è quiete, e gioia, e pace. Sorridesti e sorrisi, solo un attimo dopo. Di tutti i tuoi nei, dell'umorismo scadente, di quei movimenti, delle carezze, del freddo, dell'alba e di noi.]

Anche la penna ha perso il suo inchiostro. La penna con cui mi scrivevo, sconosciuta a me stessa e perfettamente saputa. Succede perché prima di te l’inchiostro non era che lacrima: ora non scende, s’arresta sulla curva dell’occhio, che da quando ti vide tende verso le ciglia. Ora l’inchiostro ha il tuo nome. Succede perché davanti a me c’è solo un sorriso e un inverno che aspetta ancora il suo inizio: la malinconia di un nuovo arrivederci, lo sguardo triste di chi non lascerebbe mai la mano tua, il conto alla rovescia –ché son ore, sai, a dividerci-, l’attesa di un nuovo bacio –l’ennesimo, e il primo di mille-.
 
E ci sarà un altro inverno, a cominciare da stanotte. E mille voci a confondere la tua, e nuove strade –sempre sconosciute- a far sì che io perda orientamento. Sarà presto un altro inverno e di nuovo lontananza. Saranno cari quei ricordi che non vorrei mai dire tali. Ci sarà la pioggia come in quel giorno che mi hai baciata, ci saranno ombrelli e noi non li apriremo, ci sarà poi il sole ad asciugare anche le vesti. E saranno tante le paure.
 
Anche la penna ha perso il suo inchiostro, ché non ti lasci scrivere, né immortalare, né ritrarre. Ma di tutti i tuoi nei, delle carezze ostinate, del tuo sapore, del tuo profumo sul mio collo, di quelle parole godute, di quella luna a metà, dell’alba e di noi, è impressa –nero su bianco, inchiostro indelebile e cenere- la mappa –come incisione- sulla pelle mia.
 
Solo la penna ha perso il suo inchiostro.

domenica 19 agosto 2012

Le strade, come i libri

E del mare, sotto questo continuo invecchiare - dei giorni, dei volti, delle carezze -, non resta che l'odore.
Dallo scoglio più alto, verso sud, vidi il tuo viso ridere, e ridere forte, sotto lo scorcio mediterraneo di questa città. Carezzai le tue mani come a pregarti di restare, quando la mano tua divenne sabbia ed il nostro bracciale sul mio polso si spezzò. Sulla strada del ritorno vissi un presentimento, sulla stessa strada, alla partenza, vissi e dissi bugie, inanellate l'una all'altra così fortemente, catene solide, tanto da sembrare indissolubili. E' che le strade - maledette - son come i libri, e come i libri son tutte le cose: raccontano e restano, fingendo di esser dimenticate.
Di quei sorrisi, sotto questo ignorare di cos'è che ho bisogno, non resta che l'eco. Da quella barca che è ferma da mesi vidi il tuo volto sorridere, poi sparire, e con te tutta la città. Fotografai ogni scorcio, ogni strada, e appesi ogni fotografia alla parete, al ritorno. Una in particolare curvò il chiodo. Andai via, andasti via, e di noi non rimase che il peso dei ricordi. Ma le strade, sì, le strade son come i libri, che ti dici "non ricordo" e poi ad uno stimolo - anche il minore - ti accorgi di non aver dimenticato mai.

E di questo mare, sotto questo continuo invecchiare - dei giorni, del se, del dare -, di nuovo, non resterà che l'odore.

venerdì 10 agosto 2012







Un'altra partenza. Un altro ritorno.
Preparo le valigie, ricordo -d'improvviso- che l'essenziale è già dentro me.
E così vicino a te.







mercoledì 8 agosto 2012

Luna a metà





Io la luna non la guardai neanche stavolta, presa com'ero a supplicare il tempo di fermare la sua corsa. Io i tuoi occhi non li guardai mai, prima che si offrissero ai miei. Non vidi vere e proprie carezze, sotto il cielo caldo di Agosto. Vidi scie di luce carezzare le guance del cielo, figlie di un senso più grande, lacrime preziose, più preziose dell'oro. E dello stesso colore. Vidi stelle cadenti, che chiamarle così rende metà della bellezza che sanno. Della bellezza che hanno. Della bellezza che danno. Le vidi sfiorarmi – lo giuro, sfiorarmi le guance- quando sottovoce dicesti “sei bella”. Vidi le tue mani salvarmi dal fuoco, nello stesso momento. Al confine del tempo. 
E poi, poche ore dopo, pensai che io e te siamo fatti per l'alba, mentre mi accompagnavi a casa e le mie mani chiedevano attrito, una scossa, qualcosa per cui fosse necessario staccarmi da te. Pensai che avrei potuto star lì anche il giorno seguente, senza stelle e senza tempo, senza nemmeno saperlo. Pensai che non so ancora distinguere i “se” dal Futuro, che sia semplice oppure anteriore. Pensai che la tua pelle ha l'odore che amo, che non troverò il coraggio di dirti che “siamo”, che lasceremo tutti i discorsi a metà, che anche stanotte finirà in un “guardiamo”.

E la luna sarà ancora là, crescente, a ricordarci solo metà della bellezza che siamo.

domenica 5 agosto 2012



"Disprezzo la mia stessa ipersensibilità, che esige tanta rassicurazione, ma nello stesso tempo mi rende così consapevole della sensibilità altrui. Il mio bisogno di essere amata e capita è certamente anormale. Forse io trovo fiducia in me stessa cercando di conquistare gli uomini. O forse sto corteggiando il dolore?." Anais Nin

E poi riscopro quello che gli occhi già sapevano.