sabato 13 dicembre 2014

(dov'è?)






 Perché è qui che mi hai portato, e allora, ancora, io non sapevo dirtelo.

"Dove ti porteranno le mie gambe - e il mio cuore urlante -, appesantite da questo dolore vorace, mangiate da questa bestia che non dà pace?" Cogli occhi tu domandasti questo - fu questo, son sicura, fu questo. Quel dolore che non conosce ragione - un male sagace - lo sputo in faccia della vita - lo schiaffo vigliacco della felicità data e non restituita. Avevi occhi grandi - una carezza, il tuo sguardo, che altri non potrebbero mai. Braccia aperte verso le mie - ché a me chi altro ci avrebbe pensato? E guardavi - continuavi a farlo - come a dirmi "scusami, amore mio, se non sono riuscita a proteggerti. Scusami, amore mio, se dal dolore non posso salvarti".

"Come ti proteggerò d'ora in poi, in questo tempo nuovo che ci vede sole, costrette in mura gravide di lacrime e stanze che già ne riconoscono l'assenza?" Il tuo abbraccio mi raccontò questo - fu questo, son sicura, fu questo. Quel silenzio che non conosce consolazione - uno strappo all'altezza del petto - violenza inaudita - aria compressa - la testa - il mio cuore (dov'è?). Cercavo il suo volto - ricordi? -, cercavi la mia mano - ricordo -. Crollai a terra d'istinto, mi rialzai per vederti arrivare. Sei stata, tu sei, di ogni mio gesto, il motivo. 

Le ombre sembrano rimpicciolirsi, e la luce disegnare aperture sulle pareti. C'è luce, oggi, a colorare queste mura. In questi giorni che hanno il sapore della rivincita. In questi giorni che sei qui, ad un passo da me, a tenermi ancora per mano. 

Ed è qui, mamma, che tu mi hai portato. 

A dirti grazie, amore mio, per avermi protetta. 
Grazie, mamma mia, per avermi - mille volte - salvata.



Migrant mother by Dorothea Lange

giovedì 4 dicembre 2014

Stoffa bianca








Poi il rumore dei suoi passi si sentiva in lontananza. Brevi, veloci. 
Era forse solo un miraggio, quell'immagine di sagome e ventiquattrore aperte sul pavimento, e libri e cassetti ancora aperti, e tavole imbandite di cibo e fiori - di fiori -. Era un tempo, quel tempo, di gomitoli districati e non da districare. Di piante rigogliose da non innaffiare. Finestre aperte, tanto fuori non c'è che sole. 
Ieri ho sentito i suoi passi. Avvicinarsi di soppiatto come fa il futuro. E ieri non è stata che una cerniera a chiudersi. Io, sarta dalle mani ferite e il cuore pure. Lei, la vita, tessuto caldo eppure scucito, strappato. Come mancasse ancora un drappo. Ne ho cercati, prima d'ogni altro posto, nei cassetti di questa memoria. A ricordar se davvero c'è stato un momento, prima d'oggi, in cui 'sto vestito si è irrimediabilmente strappato. Ne ho cercate di stoffe, pure nel presente. E ad ogni gesto mio di ricerca, il tempo s'è fermato. 
Ieri, per questo, altro non è stato che cerniera. Tra ciò che è stato e quel che è. Ieri, ancora una volta e per la prima volta, ho stretto nel pugno un cuore intero che da solo batteva anche per me. Come cerniera, uno spartiacque fermo oltre il quale non posso più guardare. Cerniera che chiude al passato, ferita rimarginata che corre sempre il rischio di riaprirsi. Di mostrarmi. Io, sarta dalle mani tremanti - sarta dalle mani amanti -. Ago e filo i soli strumenti. Una trama da cucire ed una da inventare. 

Stoffa bianca, la mia vita. Carta bianca, questa vita.


(Di un compleanno festeggiato.
Del mio compleanno, finalmente, goduto.)