giovedì 22 maggio 2014

Livido







Le gambe macchiate di viola e ancora calci da scagliare contro le pareti. Sangue rappreso in quel tessuto che ne è prigione - ché sfociare ora non può/ ché solo un tacito guarire può - a dare un colore luttuoso a quella pelle fredda. E freddo fu il senso di ogni botta, data e ricevuta, in quella lotta tra impotenti. Freddo fu il vento, quando non si poté seguirne il verso. Fredde pure le pareti, quando i calci, a dirla tutta, eran destinati allo specchio. E allora scrivo, emocromo completo, per anafore e metafore sciocche, il dolore di ognuna di quelle botte.

E ricordo - occhi lucidi - una storia: lui la picchiava solo in punti nascosti. Sul ventre: tanto al mare, quest'anno, lei non poteva andare. Le spalle: chi vuoi che capisca che a farlo non è stata la porta. Le gambe: niente gonne, quest'anno, chi vuoi se ne accorga. Lei non urlava, quasi come il suo grido implodesse, rimbalzando tra il ventre e la lingua, in un "aiuto" disperato ma muto. Il dolore sta zitto, si nasconde nel buio. Non v'è traccia o ferita che l'altro possa notare soprattutto se no, lei non ci va al mare. I lividi, quelli li vede solo lo specchio, e solo cogli occhi di chi vi è di fronte.

Poi - improvvisa - una carezza. Sul ventre, affinché l'amore si manifesti - immediato - attraverso quel vuoto d'aria che attendi. Sulle spalle: ché a coprirle, stavolta, non son solo i vestiti. Sulle gambe: il cammino, d'ora in poi, lo si farà in due. L'odore di un uomo che solo coi sensi ti sfiora. L'amore che cred(ev)i. Lì.

Le gambe non più macchiate di viola ma ancora calci da scagliare contro le pareti. Ché la macchia non appare ma è nella carne (a contaminare). Dolore che implode, come quell'urlo strozzato tra il ventre e la bocca. E rimbalza, costante, tra vene e tessuti. Che compare, talvolta, quando nel chiudere gli occhi quelle strade di sangue colorano il buio. E fatichi a riaprirli, e vorresti non chiuderli più. Palpebre asettiche, inermi, devitalizzate. Vorresti. E riappare, talvolta, quando piangi, disperata, senza apparente motivo. 

Ma il motivo, sai, non appare mai.


(Il dolore di un'altra. 
La sua vittoria. 
Il suo pianto).

lunedì 5 maggio 2014

Fi-ore





Certi giorni la finestra pare parlare: c'è un mondo fuori ed uno dentro, entrambi da esplorare. Chiusi, noi, in un amore di cartapesta - arruffato ed elegante, rumoroso, talvolta -che si apre alla vita come un germoglio. E' nato, tra queste quattro mura, un incrociarsi di istanti, eventi, sguardi e sorrisi, che non so come narrare.
Certi giorni pare pure fretta, questo corrersi incontro nonostante i bassi di una storia che è nata figlia di uno stelo già spezzato e dal quale nessuno - nessuno- avrebbe mai sperato nascesse nuovo petalo. E' che, certi giorni, tutto questo darsi ha un nome solo e una sola possibile declinazione, qualche rima baciata com'è quella con fi-ore. Son gli stessi giorni in cui corro - tra una casa da svuotare ed una da riempire - per inseguire il mio/nostro futuro. In una Roma caotica, che non sopporta di vedermi percorrere a piedi tre chilometri ogni giorno - tale la distanza che prima d'oggi ci separava -, e mi guarda stupita dai finestrini dei tram. - Corro a casa - vorrei dire a tutti - urlarlo, urlarlo come si cantano le canzoni d'amore, come si esprime il dissenso, come si annuncia una gioia - urlarlo una sola volta e poi sdraiarmi, la sera, accanto ai tuoi occhi socchiusi.
Certi giorni non so fare altro che sorridere, del tempo trascorso e di quello a venire, dei progetti e pure del rischio che questi vadano in fumo. Son giorni rari: corpi sinuosi che muovono, indisturbati, le fila di me. Qualcosa oltre la quale io non posso - non voglio. Vortice astratto di eventi, combinazioni, chiavi da tenere e altre da dare indietro. Poi gli scatoloni. Le foto, pure quelle. Il contratto dell'amore che vieta - dico vieta - non ci si lasci libertà. E' questa la mia promessa: libertà. Che tu sia sempre ciò che sei.

E' che certi giorni capisco di non saper scrivere della felicità. Gli stessi giorni in cui sono felice. Si scrive il dolore, quasi mai l'amore. Ma certi giorni vorrei dirti che sì, ho tempo a sufficienza per iniziare e stravolgere tutto, rompere di nuovo il divano, fare progetti e, se così sarà, distruggerli in un lampo, ho tempo a sufficienza per darmi all'amore e ai litigi, per sorridere e struggermi, per sopportare il solletico, e per guardare altre mille puntate della nostra serie preferita.
 
E avrò tempo, ogni notte, fosse solo un secondo, per guardarti a occhi chiusi mentre fai riposare la vita. Che pare così vera e bella, in questi giorni qui.
 
 
(Slanci emotivi
si prendono gioco di me)