lunedì 9 dicembre 2013

Freddo bianco






Le mani si poggiavano sul costato, a cercar di guarire il dolore che le parole appena udite avevano provocato. Le mani, le stesse, tremavano di un freddo bianco. Figlio di un amore ancora troppo giovane e non più neonato. Sentivo, al di là delle tue grida, un sottofondo, sempre lo stesso - solo più basso -. Tra gli spazi vuoti di parole una lama andava a ferire l'amore che provo e le prove d'amore, così come un assassino fa con la vita: non più un solo respiro e tutto ciò che è stato farsi in un secondo sequenza di immagini, farsi in un secondo solo passato. Le mani intanto tremavano ancora e lo sguardo si perdeva nella scia della tua ira: tu, uomo cresciuto e ancora bambino, davanti a me, donna da un pezzo e ancora bambina. Le mani - che fredde, le mani - imploravano attenzione. E non riuscivano a curare la ferita più grande: scoprire d'aver creduto da sola nel nostro domani.
Ti dissi, una volta: se uscissi di qui, dimenticherei la strada del ritorno. Che freddo, qui fuori.  E dei gatti ho solo i capricci. Le mani. Le mani ancora sul costato, arrabbiato e affranto in egual misura.

Mi guardo intorno per l'ultima volta, in attesa - di nuovo - che passi l'inverno. E questo freddo bianco.