sabato 12 maggio 2012

Ritagli




A me piacevano i suoi occhi. Innocenti quanto basta ad accarezzarmi i sogni, intensi quanto basta a svegliarmi il mattino dopo con l’immagine sua e nuove primavere. Sì, a me piacevano i suoi occhi.  E le sue mani, quando, nell’esitazione del primo contatto, pareva mi chiedessero il permesso: posso prenderti la mano? domandavano timide. E quando la sua bocca si avvicinava – come volesse urlare qualcosa – alla mia, sentivo il suo corpo esistere come il mio, nel mio, col mio. Solo un’ora. Un’ora soltanto. Poi tutto avrebbe preso il solito corso. Come si potesse fingere, come si potesse tenere sempre tra le labbra le parole non dette e che fremono, come si potesse sempre mentire agli occhi – che è vero, dicono sempre la verità -. Io i suoi li guardai, in quella notte che somigliava a lui. Io toccai le sue mani come fossero pelle mia. Riscoprii, nella leggerezza dei suoi “se”, la mia paura antica di mostrarmi. Era ieri.

Non c’è giustizia, né chiarezza, tra le sensazioni: rubano quel che possono l’una all’altra, fino ad azzerarsi. La notte – quella notte –, sullo stesso filo lungo il quale i miei piedi si allineano senza stabilizzarsi mai, illudeva il corpo di aver trovato ancora un equilibrio. Ma troppo sottile fu la fune e troppo il peso dell’amarsi senza dirsi. 

Mi portò dove la terra stende il suo tappeto e le luci sembrano inventare immagini sul prato. Ma nessuno inventò noi, nessuno. Mi portò dove nulla c’era da guardare. Posso guardarci da vicino, pensavo, scrutare i dettagli, segni particolari come la sua voce. Quella voce che somiglia così tanto a ciò che dice. Di un tepore che sorprende, una carezza che non tocca. Che parla, che suona. Che preme forte sul ventre. Era ieri: nel finestrino, solo un prossimo mattino. Fra le sue mani, l’impazienza di viverlo. I miei sorrisi, riposti in un cassetto qualche mese fa, si poggiavano ora sul costato, a divenire goffe risate, alla faccia del tempo che è stato. Ora, ora che è domani e ieri è già passato, nei ritagli di un tempo già perduto, spalle contro spalle, in direzioni opposte camminiamo.

Ma nei ritagli di questo tempo, nei ritagli asimmetrici dei nostri passi, troverò il modo giusto per raggiungerti. E poi, spalle contro spalle, a dirci l’un l’altro cosa vediamo. Cosa siamo. Poi occhi negli occhi, a raccontarci la strada che fin lì c’ha portato. Ma nei ritagli di questo tempo che di nuovo mi separa da te, nei ritagli di questo foglio rotto dal tempo, avrò tenacia a sufficienza per ricucire ogni strappo(?), e sangue, sangue nuovo a disegnare sulla carta il nostro ritratto.

Era ieri. E, ieri, era solo un attimo fa. 


A S., ritagli di post scritti per lui e mai pubblicati a formare, 
oggi che tutto ha preso la forma giusta, un collage.

Perché, nonostante tutto, glielo devo.
E perché a me, a me piacevano i suoi occhi.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bene, benissimo. I ritagli vanno sempre sfogliati. Assemblarli o scrostarli è utile per chi ha tempo, pazienza e interesse. Non si cresce solo per buona volontà. I ritagli sono, nella loro minuzia, il metro degli anni che scorrono. Azzerare può essere utile, ma sollevare le stratificazioni per capire su quali basi poggiavano le nostre convinzioni è altrettanto utile e necessario.

Flyinlife ha detto...

E' voglia di volerci credere;
ti prende e ti riempie perchè lui non c'è, non c'è più.
Ma è rimasta quella voce_quelle mani_
che si insinuano nella mente come un dubbio.
Non averne...uno strappo, seppur riparato, lascia un segno indelebile.
Lascialo così...in fondo è un cortese ricordo..

Eteronima ha detto...

Transit, la "carezza che non tocca" è tornata, visto? Non meritava quella sicurezza, allora. Oggi che tutto è andato perdendosi (che sia per sempre o solo per un po' ancora devo capirlo), la avverto sulla pelle più che mai. Capire, non ci sono mai riuscita, mai.

Fly, è il ricordo di qualcosa che ho vissuto così poco da non poter neanche esser definito ricordo. Troppa confusione. Vuoti d'aria che non so gestire.

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