martedì 21 giugno 2011

Vuoto e vento









►Ways to make you see,
Y.Tiersen e S.Wright



Una scala mi conduce giù, al buio, dove non c’è spazio, non c’è tempo, ma ci son due braccia. Due occhi. Due spalle forti.
"Dammi il tempo di guardarti"
Al buio i contorni si definiscono piano, creando quell’attesa che è tipica delle emozioni più forti, che fa venir voglia di muovere le gambe, come se ciò che si aspetta o la fine del tempo si potesse raggiungere fisicamente. Braccia e gambe, fiato. Qui, dove il tempo non esiste, non c’è fretta, mai.
E qui, al buio, tu lo fai, disegni. I tuoi occhi sono coperti da una patina sottile e trasparente, lente di ingrandimento per guardare e riprodurre quello che io non sono in grado neanche di vedere. Io, che se guardo oltre me vedo un vuoto enorme e tanto vento. Alla luce o al buio, vedo e sento solo tanto vento. Tu nella cecità delinei forme e volti e labbra e carne. Seni rotondi sotto vesti di seta. Lucida e morbida, sembra di poterla toccare. Nella cecità del buio pesto, tu disegni, disegni con le ciglia, pennelli umidi di vernice salata. Acqua, tu dipingi con l’acqua. Trasparenze incrociate, sensazioni vissute in apnea.
Io mi limito ad indicare, "vedi, quello lì ha i colori giusti e le sembianze audaci, sfumate da un chiaroscuro freddo". Chiaro-scuro è la condizione perfetta, considerando il significato dei due termini presi singolarmente. Metà strada, la non scelta. Stasi e equilibrio, in qualche modo. L’equilibrio che io perdo, se non c’è luce.
"Accendi la candela"
Solo per vederci meglio, ché tanto il fuoco lo sa che non c’è niente da bruciare. Flebile fiamma dietro le tue spalle, la luce ti dà un aspetto nuovo, più serio, quasi scontroso. E’ che tu, tu dipingi solo al buio.
Lo spiraglio di luce, al di là del mio sguardo, concede riposo ai miei occhi. Sarà la penombra, quella condizione di serenità che cercavo così affannosamente. O saranno due braccia, saranno i tuoi occhi ad annientare il rumore che fa una sconfitta nella cassa toracica e dentro la testa. Rimbomba e non molla, rimbomba e poi stanca.
Mi giro.
Poi vedo la tela, chiara e lucida, segnata da tratti trasparenti che dicono e danno. Mi legano le mani, poi le braccia, poi i sensi. Legata, son legata. Lo stomaco grida, i perché che si svelano, l’equilibrio si assenta, il buio ora è luce. Improvvisi soffi di vento, la voglia di aprir le braccia, la sensazione che si prova dopo una corsa, sotto il cartello traguardo.
"Ora, dammi il tempo di guardarmi".



 Aveva dipinto il vento, aveva dipinto il vuoto. Aveva dipinto esattamente quello che io sento. 

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