domenica 9 dicembre 2012

Il dono migliore -delle (meravigliose) banalità-



Un foglio che forse cancellerò presto. Che è vita e, per questo, non può esser taciuta.




E allora ti davo la mano, mentre, piccola come non ricordo di esser stata mai, ti domandavo: “dove andiamo?”. Ti davo la mano e poco importava il giorno, l’ora, il tempo speso. Non era che un momento, quello che a me sembrava eterno. Poterti e dirti, sorriderti e domandarti, toccarti. Ogni Natale ha il suo bagaglio di emozioni: le luci per la strada, coriandoli di neve artificiali, intermittenze colorate, il freddo che non è che il sollievo di scaldarsi, la fretta di abbracciarsi.

E allora ti davo la mano, quel giorno di inverno, dicendoti: “è pronto in tavola, vieni”, e con gli occhi dicevi la gioia, e con gli occhi tenevi fede ad una promessa. Con la penna, stasera, tradisco la mia: non dire di te agli altri. Ma nel sangue ho la tua passione che scorre, che pure era di inchiostro. Cercare di non essere banale, e poi trovare l’amore l’unica banalità che è meravigliosa. E’ che ogni Natale ha il suo carico di ricordi: quel Babbo Natale che della parola Natale faceva una barba finta e un cappello rosso, per restare il Babbo migliore del mondo. La fiducia che avevi in me che pure m’è sempre sembrata un dono, senza carta e senza fiocco. Il tuo sapere vasto eppure così dimesso, il tuo sorriso che è tutto quel che resta. La tua moto, il mio aggrapparmi in curva, in salita, e ovunque andassi. E poi, ancora e non abbastanza, mano nella mano. 

E' che, accennando a te in un gioco di parole, ogni Natale ha il suo babbo: ad uno ho smesso di crederci allora, quando sentivo i tuoi passi -illudendomi fossero i suoi- mentre, silenziosamente, riempivi l'albero di pacchi e sorprese. L'altro, il mio babbo, l'ho avuto accanto e poi l'ho visto scomparire, e, come tutti gli spettacoli migliori -come la neve, il Natale, i sorrisi-, finire. Ed ora, qui, ad illudermi di sentire ancora quei passi, e di confonderli, e di svegliarmi, felice del primo fiocco di neve.

E poi ogni Natale ha il suo sacco e i suoi doni: gioie da scartare e sorrisi da comprare, e quello stare insieme che fa male, se la tua sedia resta vuota. E allora stasera, come ogni anno da dieci anni, non decorerò alberi e non vorrò luci. Ma ti do la mano, ancora, mentre mi sorprendo a sorridere -sommessamente, come si fa delle gioie vere- pensando che il dono migliore io l’ho avuto già. 


Si chiama papà.


A S. e a M., che sono il mio Natale.


2 commenti:

Flyinlife ha detto...

...e tu lo doni a noi nella tua ingenua limpidezza, sei bellissima, e anche questo, in parte, lo devi anche a lui..

Eteronima ha detto...

Ti bacio.

Posta un commento