mercoledì 7 marzo 2012

L'alfabeto delle note




Freme, tra le corde vocali, freme e canta - suo malgrado nel silenzio -, quello che avrei voluto dire.

Un pianoforte darà armonia al tempo, ed il tempo troverà lancette lente. Un pianoforte asseconderà i tuoi passi, e sulla scia del tempo i miei inseguiranno il domani. Che non sia mai stanco, mi dico e spero, e che questo giorno non appassisca mai, mi auguro. Auguro a me che questa sensazione – simile a quella di un singhiozzo, o al suono della corda di violino che si spezza, che stride forte e arranca, che s’abbandona all’alfabeto delle note – sia per me presagio. Ché un’interruzione serve a poco, se non a ricominciare.

E mai avrei voluto dirti che c’è altro, ora, con me. Mai avrei voluto dirti che vivo bene, che le ferite si rimarginano, e che i loro margini non erano poi così ampi. Spazi nuovi, pelle a sufficienza da ferire ancora. Da carezzare ancora. Spartiti nuovi a dare un sottofondo ai giorni, a ricordarmi che la mia voce ha cantato altro, ha avuto altro, darà e canterà ancora altro. Che la mia pelle è stata pentagramma bianco per qualcuno, stoffa da carezzare per qualcun altro. Che contavo i giorni che mi separavano da te, prima di ora.

Questo silenzio, che potrei vestire di quello che ancora ho da dire – di quello che ancora ho da dirti –, questo maledetto silenzio - vigliacco, vigliacco -, s’arrende, nudo, alla mancanza di fiato.

Fu – allora - come sentire una corda di violino che si spezza. E il suono accelerare per poi frenare bruscamente. Un respiro che arrancava ad ogni nota e la paura, la paura del silenzio. E il ritornello dei pensieri come un nastro seguire la sua logica, e accorgermi che non è cambiata mai; ascolto spezzoni, frasi spezzate, mi pare di intravedere le tue braccia aprirsi verso me. Il tempo di una nota, poi la quiete. Ancora.

E ancora freme, tra le corde vocali, freme e canta - suo malgrado nel silenzio -, quello che avrei voluto dirti:


“Ti odio perché non ti amo più,
perché non posso perdonarti
di non riuscire più ad amarti”
Patrizia Cavalli


[sette anni (fa)]

5 commenti:

flyinlife ha detto...

Quando una corda si spezza in quel modo non ti dà il tempo di capire...di reagire...e resta sempre qualcosa da dire ancora..
Ma quanto lo capirebbe l'altro? Quanto comprenderebbe davvero?

Eteronima ha detto...

Capirsi è un'utopia, quando quella corda si spezza.
Ci vuole un coraggio che somiglia molto alla vigliaccheria a dire quello che ancora non si è detto. Ma quando la corda è spezzata, val la pena continuare a (fingere di) suonare?
Ti abbraccio.

Guido Mura ha detto...

Le corde, quando si spezzano, si cambiano. Nella vita non sempre si ha il coraggio di cambiare e si rimane con una corda rotta, che sballonzola e dà fastidio, finché ci si abitua.

Anonimo ha detto...

Ma quante melodie sai suonare tu,
oh dolce lira dalle mille corde
tue, private.

tina

Eteronima ha detto...

Profumo e vento di primavera. Sei.

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