martedì 21 febbraio 2012

Eco, voce





Per ogni ferita –dentro–  uno scritto –intorno-. 


Ma, per scrivere delle nostre partenze, attenderò le giuste – incongruenti, spietate - coincidenze. Lascerò qui tracce di inchiostro, lascerò qui orme chiare, che la strada che porta a noi ti facciano ritrovare – esplorare, toccare - . 
Vedi, tu sei eco, cadenza perfetta, nell’inganno mio dell’apparenza. 
Sei la nota mancante –ancora muta- della mia melodia -ancora assente-.
Sei la eco e il suo ritorno, di un viaggio che dura il tempo di un riscatto.
Sei oggi l'eco della voce mia, quando arranca sull’ultima sillaba e si spezza, catturata dal suono muto dell’incertezza.
Ma, per scrivere delle nostre partenze, attenderò –dei venti- le giuste coincidenze. Quando potrò, attraverso i tuoi occhi, raccontare cosa sono io. 
Io. A mia volta, eco - e voce - della voce - e dell'eco - tua.


Poi, solo poi,
per ogni tuo bacio –intenso- sarà un nuovo verso.

5 commenti:

flyinlife ha detto...

Non si può resisterti....non si può.
Vengo qui e mi tuffo dentro te e non voglio uscirne, sorridono gli occhi e il cuore..
...bella, sempre di più...

Eteronima ha detto...

Nella tua frase è scritto pure quello che sta accadendo a me. Sorrido anch'io, mia cara. Sorrido davvero, finalmente.
E le tue parole, ancora una volta, come un regalo. Come un sorriso.

JudyBarton ha detto...

Perdonami, ma il titolo mi impedisce di leggere il testo.

"Per ogni ferita –dentro– uno scritto –intorno-", dici. Lo dici tu, che ti firmi "Eteronima". In termini così essenziali, butti lì quello che io chiamo il gioco delle maschere (pensando a quanto sia paradossale il termine "personae") e che non ho ancora chiarito se utile ad approfondire la realtà (sé e la realta, o la realtà a partire da sé) oppure mera fuga dalla realtà stessa (e soprattutto da sé). Non ricordo esattamente come lo dicesse Oscar Wilde, ma so che lui si chiedeva se le maschere servissero a celarsi oppure a rivelarsi.
Non lo so.
A cosa serve scrivere su un blog?
Non lo so ...

Eteronima ha detto...

POLIFEMO: Come ti chiami? Dimmelo!
ULISSE: Vuoi sapere il mio nome? Il mio nome é famoso e te lo dirò, ma tu in cambio devi darmi il dono che mi hai promesso. Ascolta bene.
POLIFEMO: Parla!
ULISSE: Io mi chiamo Nessuno. Mio padre, mia madre e i miei compagni mi chiamano Nessuno.
POLIFEMO: Nessuno, io ti mangerò per ultimo, dopo che avrò mangiato tutti i tuoi compagni. Questo sarà il mio dono per te. Ah, ah, ah! Ah, ah, ah!
(Polifemo si addormenta e viene accecato da Ulisse e i suoi compagni)
ULISSE: Non é servito a niente accecarlo, anzi è peggio! Almeno avremo vendicato i nostri compagni.
POLIFEMO(urlante): Aiuto, fratelli Ciclopi, aiutatemi!
CICLOPI: Che c’è, Polifemo? Che cosa c’è, Polifemo, che ti dà tanta pena? Perché ci svegli dal sonno? Qualcuno ti ruba le bestie? Qualcuno vuole ucciderti?
POLIFEMO: Nessuno, mi vuole uccidere! Nessuno!
CICLOPI: E dunque nessuno ti fa violenza. Il male ti viene dal grande Zeus. E noi non possiamo aiutarti. Ma tu raccomandati al padre tuo, Poseidone.

Che si riduca tutto ad un giro di parole? O che sia solo un mezzo per raggiungere un fine?
A parte l'esempio, che mi fa da sempre sorridere e riflettere, io non so come e se ci si distacchi dalla realtà (realtà in quanto società, quindi insieme di individui e di identità). Ci si distacca difficilmente da noi stessi – quei noi adattati a ciò che c’è intorno - nella vita reale. La maschera, o l'eteronimo, o ancora il semplice personaggio, attraverso di noi si costituisce e da noi si libera. E' un modo come un altro per liberare una parte di noi stessi, che altrimenti resterebbe muta.

(Banalmente, diresti mai in un supermercato “per ogni ferita dentro, uno scritto intorno”?)

Se si intende l' "intorno" della mia frase come "spazio", esterno al corpo ma non necessariamente pubblico (come può essere la propria scrivania) ci si rende conto che ciò che si è scritto, maschera compresa, può restare qualcosa di intimo e privato. Si scrive perché si sente, prima di tutto. Si sceglie se condividere o meno ciò che si prova. Esser Nessuno o essere altri mille, in questo senso, può divenire una fuga - dalle responsabilità, dalla realtà - ma può essere anche strumento - forse vigliacco, forse però più naturale - per vivere gli altri e far vivere sé stessi.

A cosa serva scrivere su un blog? Credo che per me sia diventato qualcosa di necessario, a cui non ci si può sottrarre. Come un'esigenza. Quella di raccontarsi, di raccontare i mondi che si hanno dentro. E soprattutto, quella di intravedere, attraverso la lente dei propri scritti, la storia degli altri.

Adoro questi commenti. Stimolanti, invitano a riflettere. Ecco, un altro buon motivo per scrivere su un blog.

Anonimo ha detto...

Eco,
le lontananze innate nei risvolti.
Eco,
labbra schiuse in riminiscenze glabre.
Eco,
onde sulla pelle le ombre traslucide.
Eco,
i picchi soppressi in profondità.
Eco,
abbracci portati da un vento d'olio.
Eco,
le incongruenze, la pelle avvolgente.
Eco,
sei tu, ancora, nel tramonto di luce

nicchia del caos tremula.


Transit Medina
Sponde del Mediterraneo

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