domenica 5 febbraio 2012

Dal mio dentro e da così lontano


All’alba di un giorno qualunque, nei riflessi sformati dalle serrande, in quei piccoli tunnel di luce che la mattina regala, raccontasti di te:

“Io da qualche tempo sono in una città straniera. Il nucleo è quello, anche dopo aver spazzolato ben bene la pelle con setole di ferro. Sapevo, sapevo già. Dal mio dentro e da così lontano. Spesso la lontananza rende al bacio: è un buon metro di misurazione di archi, colonne e basamenti di marmo e di lembi di mare da cui siamo giunti per sognare. E, tutto ciò che attraversa il cuore e la mente. La lontananza smacchia la pelle, ci rende quasi trasparenti. Certo, non tutta la polvere depositata sui vestiti va via, qualcosa rimane nei posti più difficili da raggiungere. C'è sempre quel tratto di andata e ritorno di mattina, nel buio col sole freddo. Quante volte sei andata e poi ancora ritornata? Forse un milione, ma no, non si contano più. Eppure sembrava sempre l'ultimo, il definitivo, il tratto che chiudeva il tutto.”

Tante volte son partita. Con lo scudo dell’indifferenza pronto a proteggermi. Ed ho sentito gente e sogni di altri incanalarsi nelle vene. Ho visto albe tramontare dentro i miei occhi e giorni monchi aggrapparsi all’orizzonte per paura di affogare. Giorni tesi e stretti al ventre del mare da fili sottili, che sempre riconducevano a casa. Ché il ventre è come casa, luogo di natura originaria che ti fa figlia, poi madre. Che ti fa padre. Anche solo di emozioni.
Sapevo già. La lontananza estirpa il silenzio. Se non con le parole lei non vive, diviene assenza.

E, all’alba dello stesso giorno, in quei riflessi che sembrano oro a regalarti il giorno come un dono prezioso, mi raccontasti di me:

“Tu, fermaglio parossistico a forma di rosa. Tu, stillicidio di gocce in tumulto, mischiate a sensualità, bramosia ed erotismo allo stato puro, come le cime sommerse o il freddo assordante. Tali misture organiche e sognanti, null'altro che componenti retrattili dei tuoi occhi fendenti lo scuro, sul tappeto del campo di battaglia sempre desolato e occupato da sentimenti appesi. E tu, tu, a tu per tu con la paura. Una furia in agguato. Un martello pesante pronto a colpirti. Una jena inesorabile, ascella di guerra. Lei, la paura, respiro fertile, trangugiato, annichilito, ma sempre pronta e scattante, tra i cieli a ganasce, il firmamento, le terre e i mondi di lune attese a come i mulini a vento di don Qujote. Lei che t'incatena e tu che, allieva prediletta, corri tra la razionalità societaria di De Sade e l'irrazionalità fideistoica della religione dell'amore. Ti scomponi attraverso allenamenti quotidiani, notturni e sfibranti, essendo tu, ramo spezzato e corteccia sfregiata e linfa intermittente, fiore appassito e cuore enucleato, di quel petto disseccato ma sanguinolento di anima assetata.”

Tante volte son partita. Tra tutti i miei viaggi, in nessuno riuscii a trovare casa. Di tutti gli occhi che vidi, nessuno sguardo indagò il mio con tanto impeto e tanta attenzione.
Io non mi conosco affatto. E’ per questo che arrossii. Raccontasti di una me che mi è estranea. Arrossii come si arrossisce ad un complimento inaspettato. Mi vidi per la prima volta con gli occhi di un altro. Mi guardai, guardai me stessa, con gli occhi di un'altra. Guardai un’altra con gli occhi miei. 
Tra tutte le tue parole – che sentii premere nel ventre come corpo vivo che cerca ossigeno e lo dona, creatura di clorofilla, natura che è natura per sé stessa  - riconobbi familiare una parola sola: paura. 
Del mio coraggio, che ora inaspettatamente riaffiorava, di guardarmi in faccia.
Del tuo coraggio, che ora inaspettatamente si faceva mio, di guardarmi in faccia:
- “Ho cercato di vedere oltre la finestra con il vetro appannato e le tendine, anche se trasparenti”. -

All’alba di quel giorno, con il sole come uno sguardo a filtrare dalla finestra, dal tuo dentro e da così lontano, non ebbi più paura.



Transit Medina
Eteronima

                                    


Per l’incontro di due penne.
Per Transit, affinché apra un suo blog, 
senza privare il mio dei suoi commenti, 
pregni di vita e ormai necessari.
Per il coraggio da ritrovare.
E pure un po’ per vanità.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

L’anima

L’anima,
sfora caos, rimbombo primordiale risuona.

L’anima,
mandria di bisonti, acciottolate metropoli.

L’anima,
incipit a mano armata, inchiostro di sangue.

L’anima,
viscere del dinosauro, le grida mortali.

L’anima,
cartavelina del sangue, vene a portatore.

L’anima,
goccia spaura, formata e mai caduta,

L’anima,
luna nel pozzo, alta dimora, la carne.

L’anima,
inneva la rosa di maggio.


Transit Medina
Sponde del Mediterraneo

C.k. ha detto...

Bene, ti seguirò qui allora!
.
IN BOCCA AL LUPO PER QUESTA NUOVA AVVENTURA...
Carlo

Eteronima ha detto...

Sei il benvenuto, caro Carlo, come sempre. ^_^

Flyinlife ha detto...

E' un incontro fatale, dovuto.
E' specchiarsi e scoprirsi nuovi angoli che non conoscevi.
E' un lasciarti leggere l'animo.
E poi Tu, ancora e sempre, Meravigliosa.

Eteronima ha detto...

Ti attendevo, mia cara. E più che mai sono felice che ci sia una tua impronta proprio in questo post. Sguardi incrociati, sfumature confuse che tu, lo so, sai cogliere perfettamente.

eilidh ha detto...

Sono passata a conoscerti...
Un saluto.

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