lunedì 22 aprile 2013

Maggio (carezza di madre)





Maggio e i suoi odori si intravedono dallo spioncino, facce assonnate e dai lineamenti eleganti, appena svegliate dal letargo d’inverno. Maggio e i suoi colori mi ricordano l’infanzia, il rossetto di mia madre ad imbrattare il mio volto, i passatempi che bastava una corda – fatta solo di corda – ed il gioco era fatto. Ed il sorriso era esatto. La taglia giusta, l’espressione calzante, il riso eloquente di quando il danno, invece, non è ancora fatto. Maggio e calze velate, l’invito a spogliarsi del sole, la mattina che accarezza le gote come una mamma prima di scuola. E sì, sembra suonare il campanello, Maggio, e chiedere il permesso di entrare. A risvegliare i ricordi. A risvegliare le speranze, ancora intatte, di un domani inimmaginato. Prego, che entri e mi invada, Maggio, con le sue carezze di madre. Che faccia del mio corpo quel che vuole, e dei miei sensi cavie sulle quali sperimentare.

Maggio e la sua luce mi ricordano l’odore dei fiori in giardino, appena sbocciati, affamati di vita. Mi ricordano i viaggi e le passioni, ancora lievi, di qualche anno fa. Le mete non ancora raggiunte, le ossessioni alle quali ancora non so dare nome, le mancanze – quelle pure – che si riempiono di presenze. Ed è tardi, Maggio, per farne un resoconto, una chiusura di bilancio che non quadra, ché qualcosa è annegato nei temporali d’Aprile. Ma è a Maggio, solo a Maggio, che l’essenza di me si risveglia. E si ritrova, intatta, al di qua della porta. A scegliere cosa far entrare e cosa lasciar fuori. A combattere contro i miei stessi errori. Di distrazione. O di valutazione. 

È Maggio, con le sue carezze di madre, a raccontarmi quello che c’è.
E c’è un volto, al di là della porta – una faccia assonnata ma dai lineamenti eleganti – che odora di vita. 

(Ed io un fiore, appena (ri)sbocciato, affamato, ostinatamente affamato di vita).






«Io vedo ciò che ho di fronte, -disse Jinny. - Questa sciarpa a pallini colore del vino. Il bicchiere. Il vasetto della mostarda. Il fiore. Mi piace quel che si tocca, si assaggia. Mi piace la pioggia quando diventa neve e si fa palpabile. Ed essendo impulsiva e più coraggiosa di voi, non tempero, perché non mi scotti, la bellezza con la grettezza. La ingoio tutta intera». 
Virginia Woolf, “Le onde”

Nessun commento:

Posta un commento