domenica 23 ottobre 2011

E la memoria cos'è


Dal sonno dei ricordi – di quando ci si batte, addormentati, nella guerra, pure assopita, della dimenticanza – mi risvegliai affrettata, a cercar tra le fotografie quello che avevo tralasciato spostando l’obiettivo verso bei profili, immortalando l’apparenza, allontanando il vero – anch’esso bello, nella sostanza e poi nella forma – dal flash.
Scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle, diventata lastra impermeabile. Sostanza viscida era pure il sentimento, violentato nei principi suoi di libertà. I suoni assenti, nell’inesistenza di gesti. E mani aperte e tese verso il niente. E volto e sguardo persi ad inseguir costanze. Di quello che c’è per consuetudine, che non si lascia amare, e di cui si rifiuta, incoscienti, l’amore.

Nel sonno dei ricordi, avvinghiata all’immobilità nervosa dei rimpianti, sedussi altre parole. E queste, intrappolate tra ipotesi di tempi verbali, mi dissero in futuro semplice. Futuro semplice, ma incerto. La memoria allora cercò appiglio, si rotolò su sé stessa e si piegò, all’aggrottarsi delle mia fronte, su una sola frase tua, ricordo, passato remoto, movente di una sensazione che io provai – forte e violenta e fredda – all’alba dell’incontrarci: "io non vorrei avere ricordi."

Sì, scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle. Nel momento esatto in cui le tue parole cadevano sentii i muscoli cedere al loro passaggio, sentii raggomitolarsi le fila di un discorso consumato da anni, e le fotografie, spezzoni di vita bruciata, valere niente. Sulle gambe scorrevano, le tue parole, cercando sosta tra i pori, succhiando vita da dentro. Sentii la vita, la vita e nient’altro, passare dalla pelle. E rientrare, ritmata da un respiro profondo, intromettersi, comandare i miei movimenti. Dimmi, come lo fotografi un istante così? E la memoria cos’è quando si agisce per sensazione, quando uno scatto è vile interruzione e quando la mente non registrerebbe che la eco – debole e già fredda – di un fuoco che riscalda al suo accendersi. E che poi non resiste. Che poi si spegne.

"Io, invece, non ne ho. I miei son presente che non sente il tempo e che non lascia il suo."

Nella veglia dei ricordi – di quando ci si batte, ostinati, nella guerra, pure testarda, della memoria – mi ritrovai esausta, a cercare, tra le parole, quello che ho tralasciato.

Forse

solo una fotografia.

Dal sonno dei ricordi – di quando ci si batte, addormentati, nella guerra, pure assopita, della dimenticanza – mi risvegliai affrettata, a cercar tra le fotografie quello che avevo tralasciato spostando l’obiettivo verso bei profili, immortalando l’apparenza, allontanando il vero – anch’esso bello, nella sostanza e poi nella forma – dal flash.
Scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle, diventata lastra impermeabile. Sostanza viscida era pure il sentimento, violentato nei principi suoi di libertà. I suoni assenti, nell’inesistenza di gesti. E mani aperte e tese verso il niente. E volto e sguardo persi ad inseguir costanze. Di quello che c’è per consuetudine, che non si lascia amare, e di cui si rifiuta, incoscienti, l’amore.
Nel sonno dei ricordi, avvinghiata all’immobilità nervosa dei rimpianti, sedussi altre parole. E queste, intrappolate tra ipotesi di tempi verbali, mi dissero in futuro semplice. Futuro semplice, ma incerto. La memoria allora cercò appiglio, si rotolò su sé stessa e si piegò, all’aggrottarsi delle mie ciglia, su una sola frase tua, ricordo, passato remoto, movente di una sensazione che io provai – forte e violenta e fredda – all’alba dell’incontrarci: "io non vorrei avere ricordi."
Sì, scivolava ogni corpo sulle pareti della pelle. Nel momento esatto in cui le tue parole cadevano sentii i muscoli cedere al loro passaggio, sentii raggomitolarsi le fila di un discorso consumato da anni, e le fotografie, spezzoni di vita bruciata, valere niente. Sulle gambe scorrevano, le tue parole, cercando sosta tra i pori, succhiando vita da dentro. Sentii la vita, la vita e nient’altro, passare dalla pelle. E rientrare, ritmata da un respiro profondo, intromettersi, comandare i miei movimenti. Dimmi, come lo fotografi un istante così? E la memoria cos’è quando si agisce per sensazione, quando uno scatto è vile interruzione e quando la mente non registrerebbe che la eco – debole e già fredda – di un fuoco che riscalda al suo accendersi. E che poi non resiste. Che poi si spegne.
Nella veglia dei ricordi – di quando ci si batte, ostinati, nella guerra, pure testarda, della memoria – mi ritrovai esausta, a cercare, tra le parole, quello che ho tralasciato.
Forse solo una fotografia.
"Io, invece, non ne ho. I miei son presente che non sente il tempo e che non lascia il suo."

3 commenti:

scacciavite ha detto...

è dura per una fotografa non voler avere ricordi...

Eteronima ha detto...

Ci sono fotografie che non ne hanno. E che non lo sono, soprattutto.

Ilviaggiofermo ha detto...

.......uno scatto e' vile interruzione.........

io amo guardare le fotografie; solo quelle fatte da altri pero'.
io non amo farle, non mi piace il tempo che si perde
non sopporto lo studio che porterebbe alla padronanza della tecnica perche' ruba tempo
per uno scatto bello ne servono mille, e sono mille vili interruzioni.

: )  

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