giovedì 30 luglio 2015

Amara (che non possa mai fare rumore)






- Ho i brividi - aggiungesti, quasi senza aprire la bocca.

Qui. A raccontarti di arabeschi e voli pindarici, a dirti parole vuote, e a colmarle di baci. La lingua ha scelto una diversa via di comunicazione, come i gesti, stretti tra le braccia che non sanno ampliare il loro raggio, come volessero proteggersi e, di rimbalzo, proteggermi. Qui. A spiegarti che ora non c'è posto in questo cuore marcio, violentato dal tempo e dalle mancanze. L'assenza, prima o poi, diventa abitudine. E l'abitudine, sai, diventa tutto ciò che vuoi - tutto ciò che puoi -.
E allora sono di nuovo qui, a dirti che sarebbe bello tra di noi non ci fosse un domani, né promesse, né mancanze. A spiegarti - io, amara eppure, sai, così fragile - che ciò che può giovare non è che un bacio a cuori spenti (che non possa mai fare del male, che non possa mai fare rumore).

Ma le tue mani io le ricordo, e ogni notte le bramo, e ogni dì ne ho nostalgia. Di quei sensi intrecciati alle lenzuola, di un profumo appena percepibile e che sa di desiderio.

Qui, di nuovo, a stringere le tue carni sottili - e trovarle a volte inadeguate -, a sorriderti sommessamente, mentre poggio il mento sul mio palmo e ti racconto - mi racconti - del mio cuore marcio - del tuo cuore marcio - (che non vuol più fare rumore, che non vuol più fare del male). A spiegarti quanto sia facile per me non legarmi. A dirti bugie.

Perché le tue mani io le ricordo, marchiate a fuoco sulle anche, sulla linea della schiena, legate alle mie da un desiderio forte, sospese a mezz'aria dall'ansia del primo "forse".

- Ho i brividi, - mi guardavi negli occhi - dimmi come fai -.
- Ho i brividi, - ti guardavo negli occhi - dimmi come fai -.


E tenere a bada il cuore

prima che possa - Dio, se può - fare ancora rumore.

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