lunedì 2 febbraio 2015

Fame (il puzzle emotivo)




Discorsi concentrici, volti al fulcro di ogni cosa, pasta molle per i miei incisivi, affilati quanto basta a tagliar di netto ogni pietanza. Che sian parole, cibi o circostanze. Il nucleo morbido e succoso, casa dell'essenza e del sapore. Vuoti d'aria che percepisco appena e percepisco all'altezza dello sterno, come ansia da prestazione o dolori da alienazione. Lo stesso meccanismo della fame. Riempire vuoti recidivi. E c'è una fame che non è mai vera fame. Bulimia di attenzioni - vedere l'amore dove amore non v'è -.

Avevo palpebre gonfie, quasi a toccar le sopracciglia: le lacrime avevano tentato una diversa via di fuga, per dirsi assenti. Non più rigando le gote, non più seguendo la linea del naso, per cadere più forti, per farsi sentire. Ora, pudiche, cercavano nascondigli. 
(Credetti in lui, come in una gara a fare il tifo. Sbagliai a puntare, soldi o dito). Io dissi - con questa bocca, la mia lingua, velo palatino e saliva - dissi ci sono. Non più un solo motivo per esserci (esistenza in quanto tradizione e mera testimonianza dei fatti), né graffi, né cure. Ipotesi di un complotto del tempo, che alle mie spalle i miei sensi gestiva. Tentai strade alternative ed escamotage di parole a perdere. Poi i sensi risvegliarono ogni percezione e di noi non rimase che un vuoto guadagnato. Scoprire, oggi, che altro non fosti che un nome, di quelli che a Natale tieni chiusi in un biglietto, legati a della carta con un solo nodo, sottile ma stretto. Fosti solo un nome e come tutti i nomi nella mia rubrica sei finito, accanto ad un numero ormai inesistente fatto di inchiostro sbiadito. Scoprire, come un'epifania di luce, che i tuoi anni a questo e null'altro son serviti: pietanza, parola o circostanza. Un ricordo confuso di un niente travestito da vita. Frasi di odio che ancora mi par di sentire, tu che insegnasti a non vivere e a vivere ancora. Dopo di te, che tentasti la mia resa e la mia sazietà, luci e scoperte. Dopo di te un palato ancora mai sazio. 

Perché c'è una fame che ha ogni dì un nuovo inizio. Perché c'è un coraggio che ha forma e manifestazione diversa, che combatte ed agisce cogli occhi, sugli occhi, negli occhi. E che parla sottovoce. C'è una forma di tenacia che ha altri imperativi, che pur somigliando alla resa non ne è che antitesi. C'è una forma d'amore sottile, che non ha mai bisogno di alzare la voce. C'è una forma di vita più forte, che non si sente mai sazia.

Ed io ho ancora fame. 
(Che sian pietanze, parole o circostanze).


(Un collage di post iniziati e mai conclusi. 
A spiegarmi, col senno di poi, gli eventi).

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